Segnalazione di uscita “Iris Bloom sono io!” di Sara P. Grey

 

 

 

 

 

TITOLO: Iris Bloom sono io!

Genere: Romance, rosa contemporaneo, romantic comedy, chicklit

Data di pubblicazione: 22 aprile 2022

Pre-order dal 20 aprile (Seguirà mail con link di vendita non appena disponibile)

Formato: kindle, cartaceo (esclusiva Amazon)

Prezzo: € 2,99 kindle €9,99 paperback – Preorder a €0,99

Edizione: self publishing

Numero pagine cartaceo: 244

 

Abile truffatrice o vittima innocente?

Icona fashion da imitare o esempio da non seguire?

Una semplice commessa o l’influencer più “di moda” del momento?

Chi è davvero Iris Bloom resta un mistero.

Tutti ne parlano,

nessuno conosce la verità.

Tranne me, ovviamente.

Perché Iris Bloom… sono io!

Quasi trentenne, commessa part-time in una boutique del centro di Milano, fashion blogger & influencer nel tempo libero, sono la classica brava ragazza: coscienziosa, volenterosa, di buon carattere. Perfino troppo! Tanto che spesso ho difficoltà a farmi valere e i prepotenti se ne approfittano.

Prendete per esempio quella strega della mia coinquilina: non si è certo fatta scrupoli a fregarmi da sotto il naso la carriera dei sogni e rovinarmi la reputazione, lasciandomi nei guai! Come uscirne?

Un cambiamento radicale è d’obbligo.

Non mi lascerò più mettere in un angolo, nossignori.

È tempo di tirare fuori gli artigli e mostrare al mondo chi è davvero Iris Bloom.

State un po’ a vedere…

Nota: il romance è autoconclusivo e può essere tranquillamente letto come titolo unico. Non è escluso che, in futuro, diventi parte di una dilogia. Prometto che il piacere della lettura non verrà turbato dalla possibile estensione, ma solamente aumentato!

“Sapete come faccio a prendere le decisioni importanti? Quelle che cambiano la vita?

Cerco ispirazione nei film, ovviamente. Alcuni di loro contengono delle vere e proprie chicche, perle di saggezza con cui ci si dovrebbe realizzare una collana, da sgranare poi tipo rosario: “Domani è un altro giorno” Ora pro nobis. “Francamente, me ne infischio” Ora pro nobis. “Non soffrirò mai più la fame” Ora pro nobis. “Io vado pazza per Tiffany, specialmente nei giorni in cui mi prendono le paturnie. Se trovassi un posto che mi facesse sentire come da Tiffany, comprerei i mobili e darei al gatto un nome!” Amen.

***

“Perché le persone fanno quello che fanno? Perché sentono l’irrefrenabile impulso di mentire, rubare, rovinare la vita agli altri? È davvero soltanto per sentirsi meglio con loro stesse? Tutti grandi interrogativi, a cui credo nemmeno Alberto Angela saprebbe rispondere, bontà sua.”

***

Tre ore dopo mi abbandono – finalmente (?) – alla crisi isterica che ho tentato di tenere a bada fino a questo momento.

Afferro il cuscino e con esso comincio a percuotere senza pietà il letto (in mancanza di vittime più adeguate, visto che Martina non è rientrata e non credo abbia intenzione di farlo in tempi brevi, mi tocca accontentarmi). Ogni colpo una scarica di adrenalina. Ogni colpo immagino che sia lei, a beccarlo, in faccia, su quelle due poppe esagerate, sul culone con cui si è piantata sulle sedie con scritto sopra il mio nome.

Il mio.

Mio.

Mio nome.

«Sono. Io. La stra. Maledetta. Iris. Blooom! Io. Io. Io. Ioooooooo» Scandisco la raffica buttando fuori tutto, fiato, energia, rabbia, risentimento, voglia di strozzare Martina e pure me stessa per essermi fatta fregare come una pivella. Fino a che non vengo colta di sorpresa da uno schiarirsi di voce incerto alle mie spalle.

«Ehm, tesoro, tutto bene?»

Scarmigliata, spossata e scazzata, cerco di riprendere il controllo. Non riuscendoci, e non volendo farmi guardare in faccia da Max mentre sono in questo stato, mi lascio cadere a faccia in giù sul letto che ho appena malmenato. «Sto una favola» mugugno. Il suono esce attutito, storpiato dal materasso, più simile a “sciò ua faooa”. Che potrebbe essere scambiato pure per “sto una provola”. Va beh. Qualche secondo dopo avverto il memory foam cedere sotto il peso di Max, che prende ad accarezzarmi la schiena dolcemente.

«Giornata dura?»

Mi viene da piangere.

Se fosse un tipo meno accomodante, o un ragazzo di palta anziché d’oro, potrei prendermela con lui, sfogare le mie frustrazioni. Invece, la sua gentilezza mi provoca ancora più senso di colpa e vergogna per essere così una fallita.

«Vuoi dirmi che succede?»

Scuoto il capo. Non ho neanche il coraggio di guardarlo, figuriamoci di raccontargli l’ultima tragedia esistenziale che sto subendo.

«Che male t’ha fatto quel povero cuscino? Vuoi che ci faccia una chiacchieratina?» propone.

«Non sei divertente» gli metto il broncio. Ma smetto di prendere a pugno il povero complemento d’arredo imbottito.

«È questo il problema?» Insiste, cauto. Accidenti, ho lasciato acceso il PC.

Mi rassegno, mi alzo a sedere e, tirando su col naso per evitare di smocciolargli pure davanti – siccome non sono una bella visione già di mio, avendo passato il pomeriggio a tentare di recuperare gli account perduti, invece che lavarmi i capelli e prepararmi per il suo arrivo, e vorrei tentare di tenermi almeno lui – esalo, esasperata: «Mi hanno bannata dalla mia vita, resterò in esilio digitale per sempre!».

«Non fare così, vedrai che si sistemerà…»

«Non si sistemerà un bel niente» scatto stizzita. «Sono ore che spedisco e-mail e chiamo call center, mi sembra di parlare con dei deficienti, in realtà sono solo macchine, risponditori automatici e operatori pagati un tot al chilo per rispondere da chissà dove. Giuro che se ne becco un’altra che non parla italiano… che hai da ridere?» mi interrompo, oltraggiata dalla sua mancanza di empatia.

Max assume immediatamente un’espressione più sobria. «Non ti offendere, non sono divertito da ciò che ti succede, ma tu… scusa, ma mi piaci quando sei buffa.»

Ecco. A volte dice delle cose davvero terribili, ma in una maniera così dolce che non riesco a non perdonarlo all’istante. Alzo gli occhi al cielo.

Con il palmo della mano a coppa sulla mia guancia lui avvicina il mio viso al suo. «Mi piaci anche quando mi metti il broncio» bisbiglia, a un centimetro dalle mie labbra. «Mi fai venire voglia di cancellatelo a furia di baci» conclude, e poi procede a darmene una bella dimostrazione.

Bontà sua.

***

Max è merce rara, tipo un paio di Louboutin limited edition del mio numero trovate ai saldi: da acchiappare al volo e non mollare più.

È a.do.ra.bi.le.

Per il nostro primo appuntamento non mi ha portata fuori, ma a casa sua, dove ha cucinato per me una cenetta romantica coi fiocchi.

Gliel’avrei data solo per il modo in cui mi ha coinvolta in una delle performance più erotiche e appaganti della mia vita, condotta senza sfiorarmi con un solo dito ma seducendomi una cucchiaiata di paradiso dietro l’altra. Mi ha baciata soltanto dopo avermi riaccompagnata al mio appartamento, dall’altro lato del corridoio (i trenta passi più lunghi della mia vita) e anche allora lo ha fatto dolcemente. Le sue labbra sapevano di zucchero, caffè e tentazione, le sue mani non sono andate oltre la carezza con cui mi ha sistemato i capelli dietro l’orecchio promettendomi che ci sarebbero state altre cene, altri dolci, e «decisamente altri baci.»

Fino ad ora non soltanto ha mantenuto la promessa, ma me ne ha fatte altre. Uno di questi giorni, ad esempio, ha giurato che mi insegnerà a preparare il sushi. E poi mi farà stendere sul ripiano in marmo della sua cucina e lo consumerà dal mio corpo nudo, ha aggiunto, tanto per gradire.

Ho ancora i brividi se ci penso, e una fame che non ne vuole sapere di lasciarsi appagare, da allora. La mia mente si accende di fuochi d’artificio, quando sono vicina a lui, per non parlare del mio bassoventre e di quella caverna affamata che ho fra le cosce, scusate la metafora ardita.

Sono a digiuno da troppo tempo.

«Tu mi tenti, signor Baroni. Mi tenti assai…»

«Bene» lo sento annuire compiaciuto. Per un istante mi si riaccende in petto la speranza che voglia darsi un pochino più da fare, con me, questa sera, ma poi avverto il suo peso che si sposta, mentre abbandona il nostro talamo. «Perché ho in mente di farti altre proposte.»

«Sconce?»

«Indecenti.»

***

«Ti ho portata qui perché stasera si cena a base di sushi» risponde, lanciandomi un’occhiata intensa, che mi fa tremare le ginocchia.

Oh, cacchio. Il sushi.

«Sai perché ho scelto questa casa?» continua in tono tranquillo, come se parlasse del tempo. Eppure, il solito Max, rassicurante, familiare, ha lasciato il posto a una versione di lui… più misteriosa. Dalle sfumature ferine.

Un brivido di eccitazione mi corre lungo la schiena, e non è causato dal pensiero della vasca idromassaggio al piano superiore. È il maledetto sushi. Ed è l’uomo che ho davanti, la cui aura sembra aver preso pieno possesso dello spazio che ci circonda. Dilato le narici, come una preda che fiuta il cacciatore.

«Ce n’erano altre?» rispondo con un filo di voce. Benché questo gioco stia cominciando a piacermi, mi sto anche rendendo pienamente conto di ciò che sta per succedere.

Ho atteso talmente tanto questo momento che ora ne sono… messa in soggezione. Una marea di dubbi mi si insinuano nel cervello: e se non fossi abbastanza “brava” o all’altezza delle sue aspettative? Compio un involontario passo indietro.

Fiutando la mia indecisione, Max allaccia le iridi alle mie. Le sue sono due pozze scure e liquide in cui mi viene voglia di tuffarmi per non riemergere più, mi inchiodano al pavimento con la sola forza della loro intensità. Fa un passo avanti e poggia le mani, a palmo aperto, sul ripiano dell’isola che ci separa. «Per questo. Dice. È qui che gusterò il mio sushi.» Mi scappa un rantolo. Lui sorride compiaciuto. Poi osserva: «Sei troppo vestita, per la cena.»

Troppo vestita, poco vestita… mi sento avvampare, in effetti, ma è per l’immagine che mi ha appena attraversato la mente. Io, stesa. Nuda. Su quel marmo. Lui fra le mie cosce, che gusta… il suo sushi.

Un brivido. Ho la lingua incollata al palato.

Notando la mia indecisione, lui sospira. «Immagino di dover dare il buon esempio, allora» dichiara. Poi, con un unico, fluido, movimento, si leva maglia e maglione e li getta su uno degli sgabelli accostati al ripiano su cui progetta di apparecchiare.

Me. Apparecchiare me, non dimentichiamolo.

La visione di Max in tutto il suo splendore, seminudo, è gloriosa.

Più di qualunque altra cosa su cui io abbia mai postato gli occhi. Più persino dell’ultimo paio di Louboutin su cui ho sbavato, messe in vetrina alla Rinascente.

So di averlo già paragonato a quelle scarpe, ma cosa posso farci se non mi viene in mente altro che mi faccia più sesso di lui, o di un paio di suole rosse abbinate a un tacco dodici?

Visto che non mi sto decidendo, è lui a superare la distanza che ci separa, circumnavigando l’isola e piantandomisi davanti, a un palmo di distanza.

È più alto di me, mi sfida, mi sovrasta. Il suo profumo mi colpisce le narici, svegliandomi i sensi. Allunga le dita, mi sfiora. Non c’è incertezza nel suo tocco, ma nemmeno fretta. L’insieme misurato ed esperto dei gesti con cui mi aiuta a sfilare il vestito, dalla testa, poi gli stivali e le calze, lasciando che mi appoggi a lui mentre slaccia e scioglie e sfila, è una delle attività più erotiche in cui sia mai stata coinvolta.

Classe 1979, Sara P. Grey (pseudonimo) vive in un piccolo ma vivace paesino in provincia di Como assieme all’amore della sua vita, la gatta Muffin.

Ha fatto dello scrivere la propria vita: libera professionista, di giorno si tiene occupata come consulente per il web, copywriter, ghost blogger e social media manager, di notte elabora le sue storie, oppure legge quelle degli altri.

Nel 2017 ha pubblicato il primo romance in self, e da allora non si è più fermata. Ha all’attivo 14 pubblicazioni, sia in self che con casa editrice, oltre ad alcune raccolte di romanzi e novelle in collaborazione con altre autrici italiane.

Scrive romance, contemporaneo e storico, ma ha un debole per chick-lit, romantic suspense e military romance. Non disdegna un bel thriller o horror, ogni tanto, per distrarre la mente dagli zuccherosi happy ending di cui è tanto golosa.

La trovate su Facebook: @SaraPGrey e Instagram: @sarap.grey

Oppure sul blog: www.sarapgrey.com

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