Recensione “Un amore perduto” di Liz Trenow

 

 

 

 

Nell’estate del 1919, Ruby sta ancora piangendo la scomparsa di suo marito Bertie, uno dei tanti soldati inglesi morti nella Grande Guerra. I suoceri, affranti, le chiedono un ultimo favore: recarsi sui campi di battaglia in Belgio per scoprire dove riposa l’adorato figlio. Alice, una ragazza americana, è convinta che suo fratello Sam sia vivo. Lo sente. Ma poiché si è arruolato sotto falso nome, non ha più alcuna notizia di lui da quando è partito. Per questo abbandona la sua vita e il suo promesso sposo a Washington e salpa per l’Europa, decisa a trovare Sam. Martha ha rischiato tutto per arrivare in Belgio. È tedesca e sa che in quel Paese non troverà né comprensione né aiuto. Ma suo figlio si trova da qualche parte sul suolo belga e lei deve ritrovarlo per mantenere fede a una promessa fatta al marito. L’incontro di queste tre donne segnerà per sempre i loro destini, perché ciò che le unisce potrebbe essere molto più importante di qualsiasi differenza.

Un libro abbastanza tosto, dove il vero protagonista è il dolore, il lutto, la perdita di una persona cara, che può essere un marito, un fratello, oppure un figlio.

Tre donne alla ricerca di qualcosa su cui piangere, di qualcosa capace di porre fine a quel dolore nel petto, qualcosa di tangibile che può ricordare i loro cari.

Ammetto che non è stato facile leggere questo romanzo, mi sono immedesimata più volte in varie vesti, sono madre, sorella e moglie, quindi vivevo quel dolore a 360°.

Il libro è scritto in terza persona, quindi, in teoria, dovrebbe dare il giusto distacco, eppure ti senti trascinare in quel viaggio alla ricerca di una tomba, di un simbolo del loro passaggio.

Un viaggio dove affiora un coraggio che credevi inesistente, dove fingere la propria identità né va della propria pelle, dove la leggerezza della vita ti cade addosso come un macigno.

Gironzoli in quelle tombe comuni e cerchi, cerchi qualcosa che lo identifichi, cerchi il suo nome, eppure non vuoi trovarlo veramente, speri, speri che compaia in volti sconosciuti, in ragazzi ancora dispersi, senza un’identità.

Ci ritroviamo un finale dal sapore amaro, dove la speranza resiste per alcuni, ma c’è l’accettazione della perdita per altri e il sapere di quell’atto eroico cercherà di sopperire il dolore, si cerca il perdono, la pace per andare avanti, si cerca qualcosa a cui attaccarsi per tirare avanti, anche nel bene altrui.

Un romanzo che consiglio vivamente, anche se le lacrime scorreranno, ma ci sarà anche il coraggio e la forza di donne che nel dolore guardano al futuro, seppur incerto, come solo un dopoguerra può dare.

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