Recensione “L’infermiera di Auschwitz” di Anna Stuart

 

È il 1943 e Ana Kaminski varca i cancelli di ferro di Auschwitz accanto alla sua giovane amica Ester Pasternak, spinta dalla violenza brutale delle guardie naziste e quando le due raggiungono la prima fila, Ana dice di essere un’ostetrica, Ester la sua assistente. Una volta tatuate con il numero di riconoscimento dei prigionieri del campo, sono assegnate al capannone dove le donne incinte vengono fatte partorire. Mentre tiene in braccio un neonato venuto al mondo in quell’inferno, Ana si rende conto che il destino di tantissimi bambini potrebbe essere nelle sue mani, e giura a sé stessa che farà il possibile per salvarli. E così quando, pochi giorni dopo, le SS strappano a una madre la figlia, Ana è distrutta dal dolore, ma mentre consola la donna sconvolta, le viene in mente che forse potrebbe esserci un modo per preservare quel legame. In fondo, si dice che le guardie portino via i bambini più sani per affidarli alle famiglie tedesche, e si mormora che la guerra sia quasi finita… Ana, con un coraggio che neppure lei sapeva di avere, prende una decisione che cambierà la vita di centinaia di persone: lei ed Ester cominciano a tatuare di nascosto ogni neonato con lo stesso codice identificativo della madre, così che possano, un giorno, ritrovarsi. Ma proprio mentre il piano sembra stia funzionando, una mattina Ana si accorge che l’uniforme a righe di Ester sta cominciando ad andarle stretta…

 

 

 

Ana e Ester due amiche che per motivi diversi si ritroveranno a varcare i cancelli di Auschwitz, una prigioniera politica, l’altra ebrea.

Due ostetriche in un campo dove la vita si perde e non nasce.

Si imbattono fin da subito nell’ira funesta dei tedeschi, con gli infanticidi, l’annegamento dei bimbi appena nati, la morte delle madri per il dolore, Ana e Ester si rendono conto che il destino di quelle creature è nelle loro mani e iniziano il lento e inesorabile piano contro i tedeschi.

Le due donne vogliono dare una possibilità a questi bambini  salvati e per essere riconosciuti dalle loro madri tatuano sui loro corpi il numero di riconoscimento della genitrice, il futuro dovrà essere clemente nella ricerca.

La lettura è straziante, da lettrice, donna e soprattutto madre, pensare al destino crudele che attende quei poveri bimbi, il dolore straziante di una giovane madre partoriente, le urla soffocate, le lacrime silenziose.

Sono donne come queste che in un posto crudele, con la lucidità, riescono a sperare e ad amare nonostante le privazioni; eroine di una guerra che le vuole solo dimenticare, donne che sono l’emblema della forza fisica e spirituale.

Per non dimenticare, per far sì che la storia non si ripeta.

 

Anna

Loading

La nostra votazione

Pubblicato

in

da

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *