Recensione “Le nove donne di Ravensbruck” di Gwen Strauss

 

Il più terribile campo di concentramento femminile

La storia vera delle prigioniere che fuggirono dall’inferno nazista

Questa è la storia vera di Hélène Podliasky (raccontata dalla sua pronipote, Gwen Strauss), e di come insieme con altre otto donne organizzò una travagliata fuga dal campo di concentramento di Ravensbrück, il più duro campo nazista riservato alle donne.

Tutte sotto i trent’anni, le nove ragazze erano state deportate per aver preso parte alla Resistenza francese, per aver contrabbandato armi attra­verso l’Europa, ospitato e nascosto soldati paracadutisti nemici, o per aver coordinato le comunicazioni tra cellule regionali dei partigiani e organizzato vie di fuga verso la Spagna per salvare alcuni bambini ebrei. Arrestate dalla polizia francese, erano state interrogate e torturate dalla Gestapo. E, infine, deportate in Germania. Trasferite da un campo di concentramento all’altro, costrette alla marcia della morte nel campo di Ravensbrück, rinsaldarono la loro amicizia in un patto per la sopravvivenza, e stabilirono un piano per guadagnarsi la libertà a qualsiasi costo. La loro incredibile fuga durò per dieci, terribili giorni, durante i quali attraversarono le linee del fronte della Seconda guerra mondiale fino a raggiungere Parigi. Attingendo a fonti storiche e testimonianze dirette, questo racconto di Gwen Strauss è un commovente tributo al potere dell’umanità e dell’amicizia nei tempi più bui di tutta la storia.

 

Una sorta di documentario-intervista alle nove donne deportate, o ai suoi eredi, che hanno attraversato le linee del fronte.

Giovani donne, alcune sposate, altre prossime al matrimonio, tutte attive nella Resistenza Francese, Helene, Zaza, Nicole, Zinka, Lon, Lise, Josée, Jacky, Mena, arrestate per motivi politici e deportate tra il 1942 e 1944 nel campo femminile di Ravensbruck.

Tra gli stenti e le torture, punizioni e prigionia, la forza d’animo e il coraggio di queste donne che troveranno uno stratagemma per fuggire dal campo e raggiungere la famigerata libertà.

Ma a che prezzo?

La vita all’interno del campo, raccontata dalle superstiti e l’adattamento alla vita reale dopo aver acquistato la libertà.

I sopravvissuti soffrivano di depressione cronica, incubi, insonnia e sintomi psicosomatici come problemi cardiaci e di digestione. Nel 1953 l’Organizzazione Mondiale della sanità riconobbe tali problemi psicologici come ferite di guerra e gli fu dato il nome di “Sindrome da campo di concentramento.”

Sei delle nove donne si sposarono con dei sopravvissuti, il gruppo negli anni si disperse, provarono tutte ad andare avanti con le loro vite. Alcune rimasero amiche. La maggior parte di loro entrò in contatto con le altre sessant’anni dopo.

Una prova documentata di quello che avveniva oltre quel filo spinato.

Un’intervista minuziosa di date e dati, di ricordi, di vicende che segnarono un’intera esistenza: sono passate da Ravensbruck circa 123.000 donne, sopravvissute circa 20.000-30.000, un numero ingente, in un campo che era stato costruito per 3.000 persone e ne ospitava 30.000 alla volta.

 

firma Claudia

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