Recensione “La ribelle di Auschwitz” di Nechama Birnbaum

 

Rosie si è sempre sentita ripetere che i suoi fiammanti capelli rossi sono una maledizione, ma non ha mai dato peso a quella diceria. Tuttavia, nel 1944 la sua vita subisce una svolta tanto nefasta da dare quasi ragione alle malelingue: i nazisti la prelevano da casa e la rinchiudono nel campo di concentramento di Auschwitz. Qui la meravigliosa chioma di Rosie viene rasata a zero, e per lei si prospetta un futuro fatto di orrore e di morte. Nel suo cuore, però, alberga un’indomita determinazione. A dispetto di tutto, mentre intorno a lei i compagni di prigionia si rassegnano al loro destino, Rosie decide che sopravvivrà e tornerà a casa. Nechama Birnbaum racconta l’incredibile storia di sua nonna, rinchiusa nel più spaventoso dei lager nazisti e ostinatamente sopravvissuta alle privazioni e alle marce forzate.

 

Il carattere ribelle di Rosie si impone alla morte nel campo di concentramento di Auschwitz. Un carattere peperino, avvalorato dalla sua chioma rossa fiammante.

“Io tornerò a casa… Leah, io e te torneremo a casa.”

E, come un mantra ripetuto a oltranza, Rosie trascorrerà quegli anni nella speranza-convinzione di tornare a casa. Mantra che le porterà “fortuna” e troverà la liberazione.

A-13488 caratteri belli e precisi su quel polso ancora troppo piccolo per un tatuaggio, ma grande abbastanza per portare con sé atroci torture.

Rosie rimarrà in vita e sconfiggerà più volte la morte, assieme alla sorella Leah si ritroverà a uscire da quei cancelli con le proprie gambe e con mille speranze svanite in quelle baracche.

Sono storie come queste che urlano come inni alla vita, storie di sopravvissuti che osannano la libertà, la vita e la speranza in un mondo migliore.

Amo queste letture e non mi stanco mai di leggerle.

 

 

firma Claudia

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