Recensione “Il ragazzo che liberò Auschwitz” di Roberto Genovesi

 

Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrano nel campo di concentramento di Auschwitz, trovandosi di fronte alle prove di uno dei crimini di guerra più mostruosi della storia moderna. Insieme ai soldati russi, varca il cancello anche un manipolo di fotografi e reporter. Tra loro c’è Vady, un ragazzo ucraino poco più che adolescente che, dopo aver visto i genitori morire per mano dei tedeschi, si è offerto volontario per garantire al fratellino la protezione della Croce Rossa sovietica. In veste di assistente di due fotografi di guerra, con cui stringerà un profondissimo rapporto di amicizia, Vady scopre dunque gli orrori nascosti nelle viscere di Auschwitz e poi del vicino Birkenau, documentandoli con una vecchia Leika. In quegli scatti non compaiono solo morte e sfacelo: appare anche una ragazzina, che sembra esistere però soltanto all’interno delle foto di Vady. Il desiderio di trovarla lo spingerà ad addentrarsi in quel che resta dei campi di sterminio, mettendolo di fronte a nefandezze inenarrabili, ma consentendogli, con la sua inseparabile macchina fotografica al collo, di regalare al mondo alcune delle foto più importanti della seconda guerra mondiale. Un ragazzo che ha perso la famiglia. Una macchina fotografica al collo. La crudeltà dei campi di sterminio. Possono delle foto restituire l’orrore del nazismo? Il 27 gennaio 1945 Vady e la sua macchina fotografica entrano ad Auschwitz.

 

 

Una rappresentazione diversa della guerra, il racconto inizia con la terza persona per poi passare a fatti raccontati in prima persona da Vady, è lui il protagonista un giovane ucraino, che si ritrova a fotografare quelle vittime di torture.

Una macchina fotografica al collo, la verità messa su immagini bianche e nere, sconvolgente, raccapricciante, crudele come solo quei luoghi possono essere.

Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa entra nel campo di concentramento di Auschwitz e con loro Vady e il suo amico Sergej

 

“Quella notte vidi per la prima volta uno di quei maledetti campi. Anzi, ne intravidi solo la sagoma. Muta e angosciante, aiutato dalla luce di una luna insolitamente vivida. Fu quello il mio primo incontro con il campo di concentramento di Os’ wie cim. che i tedeschi avevano ribattezzato Auschwitz, un incontro discreto, silenzioso. Come quello che ognuno di noi fa quando incontra per la prima e ultima volta nella propria vita: la Morte.”

 

Con uno stile scorrevole, semplice e veloce, eppure molto dettagliato nei particolari storici, empatici e paesaggistici, lo scrittore ci porta attraverso le foto in quel posto macabro che odora di morte.

Come può il grilletto di una macchina fotografica rendere immortali?

 

Le immagini che ci arrivano ai giorni nostri sono frutto di reporter che si imbattono in qualcosa di mostruoso opera dell’uomo stesso, persone trattate come bestie, inconcepibili situazioni, fatti raccontati che sconvolgono “ma era tutto sbagliato in quel posto. Cominciavo a rendermene conto davvero.”

In questo enorme labirinto si intrecciano diverse storie, diversi personaggi, come Hector, la paura che frena lingua e braccia, e una misteriosa bambina, le cui vicende sono legate tra di loro, una ricerca che ci accompagnerà fino alla fine del libro, la ricerca della verità, di quel volto smunto dalla fame e dalla paura.

 

Il ragazzo che liberò Auschwitz è un testo da leggere.

 

 

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