Recensione “Il collezionista di ricordi” di Elisa Crescenzi

«La musica è finita, Micol».

«E noi, Bart, noi siamo finiti?»

 

Micol ha quindici anni quando è costretta a dire addio al ragazzo che le è sempre stato accanto, l’unico al quale ha concesso il suo cuore. Altrettanti sono gli inverni trascorsi dal loro ultimo bacio. Le strade di Firenze hanno smesso di emozionarla come un tempo, ma lei non ha rinnegato un solo giorno i suoi sentimenti per Bart.

È una giovane di trent’anni e si sente realizzata: è diventata psicologa, ha aperto uno studio e, nonostante non sia riuscita a dimenticare Bart, ha imparato a razionalizzare la sua mancanza. Almeno fino a quando una spiacevole perdita non costringe Bartholomew a fare ritorno a casa. Micol è pronta a rivederlo, tuttavia non si aspetta di scontrarsi con un muro di rabbia. Dovrebbe tenersi a debita distanza, lasciarlo partire di nuovo, invece si ritrova ancora una volta impigliata in una rete fitta di sentimenti.

Quindici anni dovrebbero bastare a dimenticare, eppure le loro anime sembrano suonare ancora la stessa melodia.

 

Bartholomew ha quindici anni quando riempie la sua valigia di vestiti, rabbia e rancore. La Julliard è pronta ad accoglierlo, anche se lui non è pronto ad abbandonare Firenze. Poi il suo cuore si spezza: Micol, la sua migliore amica, lo lascia partire con una menzogna.

A tenere insieme i cocci malandati del suo cuore ci pensa la musica. Bart diventa un pianista prodigioso e conteso, la sua vita riprende a scorrere e il suo letto si riempie di donne prive d’importanza quasi ogni notte.

All’improvviso, però, è costretto dagli eventi a tornare a casa. Due giorni, solo due giorni: quello è il tempo che Bart giura di concedere a Firenze.

Micol tuttavia è lì, a un soffio da lui, con una collezione di ricordi a non lasciargli tregua e sentimenti dilanianti a condannarlo.

 

«Una cosa per finire deve anche aver un inizio e tu ed io, Micol, non siamo mai iniziati davvero».

 

Un’autrice scoperta da poco e che non riesco più a lasciar andare.

Ogni suo libro è un capolavoro, una poesia in prosa, un colpo al cuore.

Una storia tormentata, questa raccontata da Elisa. Un amore sofferto e messo in un angolo per troppi anni, ritornato alla ribalta e destinato a fare ancora più male.

Amare significa saper lasciare andare.

La nostra protagonista, Micol, lo scoprirà sulla propria pelle, condannando alla triste fine quell’amore adolescenziale con Bartholomew.

Lui, una semplice tela per il dolore, tatuaggi che ricordano lei, uno spartito senza più musica gioviale, ma sole tristi note.

“Mi sono disegnato qualcosa addosso, per ricordarmi che anche le cose più belle fanno maledettamente male… Una collezione di ricordi, incisa su ogni centimetro di epidermide, qualcosa che neanche la morte può cancellare.”

Ritornato nella sua Firenze per la perdita prematura del padre, Bart porta con sé quei ricordi che fanno ancora male, ricordi di un amore spezzato e mai dimenticato.

La rossa del suo passato ritorna prepotentemente in quel presente fatto già di dolore al quale si aggiunge quell’amore incompiuto e mai finito.

Sofferenza e dolore, ricordi troppo forti da poter cancellare.

“Non posso lasciarti andare, Micol. Non posso farlo, perché tu da qui, non te ne sei mai andata.”

Rituali ripetuti per non dimenticare.

“Non ho mai smesso… Quello del Bacio Perugina è un rituale a cui ha dato inizio lui, e a cui non sono mai più riuscita a sottrarmi. – Un bacio in cambio di un sorriso.”

Ho odiato i protagonisti e, in quell’odio provato, ho scoperto che li ho amati inverosimilmente.

“Tu non mi manchi, Micol, tu gridi ogni maledetto secondo la tua mancanza nel petto ed io non posso fare a meno di sentirla.”

Straziante.

“Ti porterò in ogni nota del petto, perché tu sarai per sempre la mia musica, Mew.”

Perché il troppo amore, fa ancora più male.

Saranno come Elea ed Elrhon.

“Io vengo a riprenderti.”

Due anime gemelle.

 

firma Claudia

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