Recensione “Il bambino del blocco 66” di Limor Regev

 

Gennaio 1945. Il piccolo Moshe Kessler scende dal treno presso il campo di concentramento di Buchenwald con altre centinaia di bambini. Avendo sopportato gli orrori di Auschwitz-Birkenau, dopo aver perso i contatti con tutta la sua famiglia, ed essendo sopravvissuto alla marcia della morte nel gelido inverno europeo, Moshe ha già visto fin troppe tragedie. A Buchenwald, i nuovi arrivati vengono assegnati alle loro baracche. Il Kinderblock 66 sarà la nuova casa di Moshe, che ancora non immagina l’importanza cruciale di questa assegnazione. Poco tempo dopo, i tedeschi decidono di distruggere il campo e di obbligare i prigionieri rimasti a una nuova marcia della morte. Ma i nazisti non sono preparati a fronteggiare la resistenza segreta di Buchenwald, che si solleva con una missione: proteggere i bambini del campo.

 

Siamo in guerra, l’Olocausto è alle porte, un bimbo di 9 anni che non capisce cosa succede intorno a lui, le leggi razziali e i ghetti, la fine della libertà, l’inizio dell’inferno.

Nato in quella che era la Cecoslovacchia nella regione Transcarpazia, nel 1939 vide la sua città cambiare, il vento portare cose nuove, non belle notizie, ma cambiamenti che segnano un bimbo per l’intera esistenza… Hitler al potere, nazioni limitrofe in fermento, vecchi rancori e dissapori lasciati dalla Prima guerra mondiale.

Da una casa indipendente a Burkenau e da lì tutto è storia e dolore.

“Ci svegliavamo la mattina senza sapere se la sera saremmo stati vivi o morti.”

“Senza capelli e senza vestiti eravamo tutti molto simil e diventammo una massa collettiva di quelli che erano stati essere umani distinti con caratteristiche diverse.”

“Eravamo diventati numeri… il processo con il quale perdevamo le nostre identità umane era concluso… Il processo di disumanizzazione era costante e sempre sconvolgente.”

“Ad Auschwitz non ero più un ragazzo di tredici ani e mezzo, di nome MosheKessler. Ero diventato A-4913.”

Frasi che ti lacerano il cuore, la storia che non si deve dimenticare.

È una lenta descrizione dei fatti, vista con gli occhi di bambino e spiegato in fase di adulto, con la consapevolezza acquisita di quei fatti.

Un libro in memoria di Kalina che salvò i ragazzi ebrei del blocco, 904 ragazzi sottratti dalle grinfie dei nazisti.

Una storia toccante come tutte del genere, una storia che leggi con le lacrime agli occhi e il freddo nelle ossa, una storia dentro la storia per ricordare chi siamo stati, dove non dobbiamo ritornare.

 

 

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