Recensione “Il bambino che non poteva amare” di Federica D’Ascani

 

 

 

Quando Teresa partorisce e sente per la prima volta il pianto di suo figlio pensa che non possa esserci gioia più grande di quella che sta vivendo: Libero, suo marito, è in una stanza a pochi passi e Paolo, il suo piccolo appena nato, a un soffio.

Ma il tempo passa e nessuno, in sala, la degna di uno sguardo. C’è qualcosa che non va. E poi la sentenza: suo figlio è morto, suo figlio è deforme, suo figlio non merita neanche di essere visto.

La vita di Teresa diventa il fulcro dell’Inferno in una manciata di secondi, e tutta l’allegria provata fino a quel momento scema per lasciare posto a un vuoto incolmabile.

Ma Teresa non sa la verità: Paolo è vivo, Paolo è in buona salute, Paolo ha la sindrome di Down ed è stato appena mandato in manicomio.

C’è stato un tempo in cui nascere diversi era un modo come un altro per non esistere, un tempo in cui bambini e adulti, se pazzi o anormali, venivano semplicemente dimenticati.

E se per Paolo le cose andassero in maniera diversa?

Uno di quei libri che lascia il segno.

Sbalordita, stordita, scioccata e arrabbiata. Sentimenti ed emozioni che ti toccano nel profondo.

Conoscere la verità, vederla sotto gli occhi, leggerla ed assopirla ti annienta.

Eppure sono esistiti.

Strutture, dottori, infermieri e quant’altro che hanno lavorato per questa causa, per annientare “la feccia” umana.

Non è facile fare una recensione di questo libro, le emozioni sono troppe e non piacevoli, rabbia e shock che si alternano, la penna arguta e sensibile al tempo stesso ci porta in questo viaggio difficile, in quelle cliniche “dei pazzi”, gli effetti sono devastanti, vedere, anzi leggere, della cruda realtà ti spiazza e paralizza.

Il viaggio in questo mondo, per certi versi così lontano dall’attuale, ci porta a odiare quei comportamenti restrittivi e crudeli che tutti noi, al giorno d’oggi, abbiamo nei confronti del diverso, che sia disabile o straniero, instabile o malato.

Ho sofferto veramente, il cuore si logorava ad ogni pagina e si acquietava in quei pochi attimi di tenerezza o di civiltà.

Non ci resta altro che condannare queste nefandezze o chiamiamola “ignoranza”, scopri fatti inconcepibili all’essere umano, se così ci possiamo definire.

“Quegli esseri ritardati non avevano alcun senso né di esistenza né di amare. Non potevano amare: non capivano cosa significasse quella parola.”

Un argomento che mi tocca nel profondo, vivo giornalmente situazioni del genere, è un argomento che sostengo e che trattarlo, leggerlo o recensirlo mi provoca ancora ferite all’animo.

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