Recensione “I fratelli di Auschwitz” di Malka Adler

 

 

 

Ungheria, 1944. I fratellini Dov e Yitzhak vivono in un paesino arroccato nei Carpazi, isolato sia dal mondo che dagli orrori della guerra, un posto dove ebrei e cristiani convivono pacificamente. Ma un giorno tutto cambia. L’esercito ungherese irrompe nella sinagoga, ordinando ai presenti di riunire i familiari e ripresentarsi lì nel giro di un’ora per essere deportati. Chi cerca di sottrarsi al viaggio che lo porterà ad Auschwitz viene denunciato dai vicini che fino a quel momento aveva considerato amici.

Sei decenni dopo, al sicuro nei loro salotti confortevoli in Israele, Dov e Yitzhak rompono finalmente il silenzio e raccontano quelle terribili vicende a qualcuno che non le dimenticherà mai. Malka Adler ha trascritto le loro memorie crude ma essenziali, destinate a coloro che hanno trovato forza, conforto e, soprattutto, speranza, nei libri che raccontano gli orrori dell’Olocausto.

Commovente, straziante, drammatico come ogni libro del genere.

Un’intera famiglia deportata ai campi di concentramento, due fratelli i veri protagonisti di questo diario storico, Dov e Yitzhak.

La dettagliata descrizione da parte dell’autrice porta le emozioni all’ennesima potenza.

“La pioggia smette di cadere come un graffio. Come il dolore. Prima cade fortissima, in abbondanza, poi rallenta. I rami sgocciolano a terra con indifferenza.”

Ricordi dei due fratelli su carta, crude immagini della loro prigionia.

“Sono Yitzhak: lo Stato d’Israele mi ha dato nome Yitzhak. I nazisti mi hanno dato il numero 55484. I goyim mi hanno dato nome Icko.”

“Sono Dov: lo Stato d’Israele mi ha dato nome Arieh-Dov. I nazisti mi hanno dato il numero A-4092.”

Tra maggio e luglio del 1944 dall’Ungheria sono stati deportati 501.507 ebrei, la maggior parte ad Auschwitz.

“Siamo nati cecoslovacchi. E siamo stati mandati a morire da ungheresi. Nostro padre Israel aveva 49 anni. Nostra madre 42. Noi ragazzi avevamo tra i 15 e i 20 anni. Viveamo a Tur’i Remety, un paesino nei Carpazi.”

Crudeli punizioni, calci e pugni, i morsi della fame, il lavoro duro nei campi di concentramento, malattia e misere illusioni; i due fratelli verranno separati e, da soli, combatteranno per la sopravvivenza.

“Sentivo che la fame mi stava divorando dall’interno. La mia fame aveva infiniti occhi, come l’angelo della morte. Conoscevamo tutti il sistema, al campo della Zeiss. Il sistema: niene cibo, niente acqua, niente spazio per respirare, niente docce, niente cappotto, niente cure, solo lavoro, lavorare veloci, fino a che non arriva la morte… Ai tedeschi bastavano tre mesi per trasformare dei giovani in salute in una pila di stracci ributtanti.”

Vedere prigionieri grattare le pareti e mangiarsi la sporcizia, persone mangiare polvere, alcuni che aprivano e chiudevano la bocca come se stessero masticando.

La pazzia che arrivava piano, lentamente, a volte al posto della morte, e tra le due non si sapeva chi era la peggiore.

Morte uguale libertà e alcuni si lasciavano morire per riuscire ad uscire da quel recinto di filo spinato.

“Rimanene in piedi… Non cadere” era il mantra dei due fratelli.

“Avevo la mente vuota. Solo un canale funzionava. Niente errori. Non cadere. Non svenire. Non fermarti. Non piegarti. Cammina, cammina…. Sapevo che, se Dov fosse morto, sarei morto anch’io”.

Aspettare sulla cima per scendere insieme.

Ricordi strazianti, una storia che lascia quel sapore amaro in bocca, aver raggiunto la libertà, ma a quale costo?

Un diario di ricordi raccontati dal punto di vista dei fratelli che, dopo tanti anni, decidono insieme di dire al mondo la loro storia, la loro verità.

Non si ha solo la vita nei campi, la parola sopravvivenza dopo l’orrore è la vera sfida.

Vincere la pazzia, vincere la paura, vincere la fame.

Vincere la solitudine, l’essere rimasti orfani e soli, senza casa, senza più una terra ospitale e la paura di un semplice grido, i morsi della fame che attanagliano lo stomaco.

La vita oltre quel recinto.

“Avrei voluto cancellare Auschwitz, Buchenwald e il campo di Zeiss dalla mia mente, ma non ci riuscivo.”

Sognare la vendetta.

“Quando ero nei campi, io e le altre donne invocavamo vendetta. La vendetta sarà mettere al mondo bambini ebrei.”

Un libro assolutamente da leggere, magari con qualche pacchetto di fazzoletti accanto.

firma Claudia

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