Recensione “Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombie” di Alec Bogdanovic

 

 

 

La depressione è il male della nostra epoca. È la malattia più diffusa al mondo ed è la più temuta dopo il cancro. Il nostro anti-eroe ci si imbatte nell’adolescenza e cerca di liberarsene con la disciplina e il metodo di un ricercatore, peccato che la cavia da laboratorio sia lui stesso. Finirà così per autocondannarsi a un’interminabile escalation di sfortune e miserie umane: queste daranno corpo a un romanzo di formazione in cui tragedia e commedia si intersecano e fondono fino a diventare del tutto indistinguibili.

Hi lettrici e lettori Sale e Pepe

Oggi vi parlo di un piccolo ma intenso libro che ho letto con molto interesse perché attirata dal titolo, ovvero “Gli ansiosi si addormentano contando le apocalissi zombi”, curiosi? Confusi? Lo ero anch’io, ma mi ha anche molto molto intrigata.

Chi mi conosce sa che io e l’ansia siamo eterne compagne di viaggio e che, grazie a lei, ho provato uno spettro di sintomi e malesseri degno di un malato terminale; il mood giusto è più o meno “mi do all’ironia per non cedere all’eroina”. Provo scherzare perché questo è anche lo stile che troverete nel libro se decideste di leggerlo, non vi aspettate però questo tipo di ironia leggera, né una disamina psicologica da trattato o un racconto di una storia di pura e semplice depressione. Questo libro è, infatti, un insieme di ironia spinta e brutale, black humor e scene non proprio politicamente corrette , con cui l’autore ha scelto di destreggiarsi  nella descrizione della sua storia, perché come ho scoperto leggendo è un autobiografia.

Eh si, ammetto che  mi ha fatto ridere ma mi ha anche colpito profondamente per la forza del testo e per questa ironia pungente che, mescolata al tema trattato, apporta sia una nota leggera che un senso di durezza, perché sembra farti vedere il tutto

in modo più distaccato e freddo. Inseme a questo devo avvertirvi che il linguaggio adottato è volgare e rozzo e, anche se “comune”, può  rendere ancora più forti le emozioni che vi ho descritto, però è il modo in cui è scritto il libro e nell’insieme, per i miei gusti, questo non è  stato un grosso problema.

Il testo è formato da capitoli brevi e molto scorrevoli, i cui titoli sono spesso pregni della stessa ironia cattiva e maligna di cui vi parlavo prima, forse anche troppo in certi punti, anche se rimane inerente allo stile narrativo.

L’unico capitolo che avrei rivisto per renderlo più “soft” è quello della prefazione, devo ammettere che è forse la parte che mi ha convinta meno, insieme ad altre due cose: il finale, un po’ veloce e quasi “tronco” (mi sarei aspettata qualcosa in più visto anche lo sviluppo dei capitoli precedenti) e  le note esplicative, troppo lunghe, descrittive e talmente intrise di biasimo e accusa da farmi storcere il naso.

Nell’insieme però ho apprezzato la lettura, ho riso e mi sono divertita perché per certi versi se dovessi descrivere la mia vita ne uscirebbe una cosa molto simile, per questo mi ha dato anche  molti spunti di riflessione.

PAYNE

firma Anna

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