Benevento, 1630. Corre, Bianca, attraversa il bosco col fiato in gola per tornare a casa. Conosce a menadito il sentiero, eppure avverte una presenza tra gli alberi: qualcuno la sta seguendo, ne fiuta nell’aria il sentore sgradevole. Non deve cedere alla paura, si dice, anche se proprio lì vicino sono state aggredite delle ragazze, e del vero colpevole non c’è traccia. Anzi, in città serpeggia la convinzione che siano state le janare, donne che – come lei, sua madre e sua sorella Maria – vivono ai margini di Benevento, conoscono i segreti delle piante e li usano per curare i malati. Per il protomedico della città, Pietro Piperno, le janare sono creature del diavolo: streghe, insomma, contro cui invoca l’intervento della Chiesa. La sua ossessione per loro si nutre del desiderio, non corrisposto, che prova per Maria. Così, quando lei sparisce, Bianca si troverà da sola a cercare la verità sul mistero della sua scomparsa. Anche lei è in pericolo ma è determinata a inseguire un destino di libertà e d’amore con un’unica e potente arma a disposizione: la sorellanza. In un romanzo che avvince e affascina, Cinzia Giorgio scava nella leggenda delle streghe di Benevento, restituendo alle janare del Sannio la voce che è stata loro negata dalla storia: quella di donne sapienti, e per questo perseguitate, che hanno celebrato la vita.
Amo questa autrice e la potenza con la quale riesce a trasmettere le sue storie al femminile.
Cinzia ci porta nel profondo della nostra terra, nel cuore di tradizioni ancestrali trasmesse di madre in figlia, una sapienza donata dalla natura che concede alle sue adepte di utilizzarne i frutti per giovare al prossimo. Una conoscenza che per troppo tempo è stata confusa con la magia.
L’ambientazione del romanzo è uno dei luoghi più significativi per la stregoneria in Italia, Benevento, e i fatti si svolgono nella prima metà del 1600.
L’ignoranza e la superstizione, mali del nostro passato, quando animano persone che detengono il potere, diventano estremamente pericolose.
Il personaggio (realmente vissuto) di Pietro Piperno, in qualità di protomedico responsabile sanitario locale, rappresenta la figura più odiata del romanzo.
Un “folle che ha trascinato la città nel fanatismo” che “usava la superstizione per i suoi scopi e poi dava la colpa alle donne che aiutavano la gente a guarire per davvero” e che aveva messo in piedi una vera e propria caccia alle streghe, perché “bisognava lavare Benevento dalla fama nera di città delle janare e del demonio”
Quando in città e nei dintorni numerose giovinette vengono aggredite, si trova il pretesto per accusare dell’accaduto il demonio e, quando “l’odio dilaga nelle strade e si cerca l’agnello sacrificale” sono i più deboli ad essere accusati.
Una famiglia di sole donne che vive nei boschi viene presa di mira dal Piperno; una vecchia e tragica faccenda lo aveva portato a odiare Rosa, levatrice e medichessa, e di conseguenza anche le giovani figlie Maria e Bianca. La loro colpa? Tradizioni erboristiche e usanze tramandate di generazione in generazione e il vivere libere e indomabili senza la “guida” di un uomo.
“Bianca pulsava di vita, profumava di erba di prato, la sua risata riecheggiava nell’aria come la pioggia di estate”
Donne che avevano fatto solo del bene alla popolazione, dispensando i loro preparati per aiutare nella guarigione, guidate dall’esperienza e dall’intuizione nella diagnosi ma, agli occhi di un uomo di scienza che ancora confidava negli esorcismi, la loro competenza era vista come una manifestazione del maligno.
Oltre alle protagoniste, anche Gerardo, un gigante buono con una disabilità mentale, si trasforma in un perfetto capro espiatorio.
Questo romanzo si snoda lungo un decennio in cui vedremo le protagoniste affrontare sempre più avversità: la forza di Rosa nel portare avanti la sua professione conquistando il rispetto di personaggi autorevoli, la competenza di Maria che porterà avanti le conoscenze della madre fondando una scuola e la giovane Bianca che dovrà caricarsi di un fardello enorme, nascondendosi nel tentativo di proteggere la sua famiglia, fidandosi del suo istinto che la mette in allerta.
“Bianca non aveva paura del buio, non aveva paura degli animali selvatici, non aveva paura della tempesta. Aveva però paura del male.”
Ho trovato in questo romanzo il fascino profondo dei rituali che seguono i ritmi della natura, delle fasi lunari, una simbiosi fra la madre terra e tutte le sue creature, un equilibrio che l’ignoranza e il fanatismo religioso hanno stravolto dandogli un significato negativo.
L’aspetto che più mi ha colpito in questa storia è stata l’inaspettata solidarietà da parte di quella parte di popolazione che più avrebbe dovuto temere queste conoscenze: il clero.
Padre Antonio rivestirà un ruolo di guida nella vita di Bianca
“lui e i suoi confratelli aborrivano simili usanze popolari contro malocchio e fatture; avevano sempre ignorato le direttive del Sant’ Uffizio riguardo alle disposizioni da prendere contro le guaritrici. Così come le consorelle di San Pietro, che si erano schierate palesemente a favore di quelle donne”
E saranno le donne le vere protagoniste di questo romanzo, dai personaggi principali a quelli secondari, ma tutte caratterizzate da una forte personalità.
I personaggi verranno descritti in modo intenso, compreso Piperno nella sua follia. Ho preso a cuore le sorti del buon figlio Nicolò e ho sviluppato grande rispetto per la badessa Caterina.
Molto particolare anche la narrazione (in terza persona) che riesce a mutare pov anche all’interno dello stesso capitolo e facendo discreti salti temporali. L’ho trovata vivace e dinamica proprio come il racconto di un cantastorie abbinato ad una visione cinematografica che tende a spostare la macchina da presa da un personaggio all’altro, non limitandosi all’esterno, ma penetrandone addirittura il pensiero.
Un bellissimo omaggio a chi ha sempre subìto angherie e soprusi, ma che è riuscito a mantenere dignità.
“Io non voglio diventare quello che mi hanno fatto”
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