Recensione di “I cento ritratti” di Francesco Montori

 

 

 

 

 

 

I cento ritratti siamo noi: le persone. Colte in momenti comuni o paradossali, ma sempre carichi di elettricità umana, sia nella rinuncia che nella rivolta.
Sono presenti la frustrazione, le dipendenze, il lavoro, la follia, il sesso, il timbro di una resa e l’ironia per abbatterla; ci sono le domande attorno a un suicidio, un 18 preso all’università, un incontro del terzo tipo, la lista di una persona che assomiglia, il rapporto con degli occhiali da vista, e molto altro ancora della commedia umana.
Ogni ritratto inizia con un nome, come trasfigurazione letteraria di un dipinto su tela, mentre la brevità ne è la cornice.
Nella galleria, sono presenti anche animali e oggetti, e i rapporti che le persone intrecciano con ognuno di essi nel quotidiano.
Sono immagini rese statiche o in movimento grazie alle parole, con tutto ciò che di implicito e nascosto si trova al loro interno.
Ogni tela di un dipinto, infatti, è tessuta con una trama, molto più vasta e sottile di ciò che si pensi.

I cento ritratti è un romanzo impressionista, un insieme di tante piccole macchiette che solo viste da lontano ti danno la prospettiva di un quadro completo: un panorama desolante di un’umanità disgregata, persa in sé stessa e nelle proprie manie. Cento ritratti per cento piccole storie, cento frammenti di vita rubati ai personaggi, come se li stessimo spiando dal buco di una serratura. Li vediamo agire nel mondo, un mondo influenzato dai loro pensieri e dai loro modi di vivere: non sono solo i personaggi, che stiamo spiando, ma la loro intera esistenza, il loro piccolo quotidiano. Ci è concesso di vedere, per pochi minuti, il mondo esattamente come lo vedono loro. Lo stile dell’autore è fluido, camaleontico, si adatta ad ogni storia come una seconda pelle, calzando alla precisione e comunicando solo ed esclusivamente ciò che quel personaggio vuole comunicare, non una virgola di più, né una di meno. Francesco Montori ci fa un piccolo dono ad ogni storia, ci fa dimenticare chi siamo e per un momento ci concede di vivere una vita diversa, parlare una lingua diversa, abitare dentro un corpo diverso.

L’unico difetto di questo libro è che, essendo eccessivamente frammentato, manca di una trama vera e propria, e può essere difficile da seguire proprio per via di questi continui e violenti stacchi. Ti dà, tuttavia, l’impressione che tutto faccia parte, in realtà, di un’unica grande storia, una storia lasciata non scritta, o una storia lasciata intuire tra le righe.

Perché, alla fine «questa vita è fatta così».

 

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