Blog Tour “Intervista a Giada Fariseo”

 

 

INTERVISTA GIADA FARISEO

  1. Come è arrivata l’idea del voler parlare del Manzanar?

L’idea di trattare un tema delicato e poco sconosciuto come appunto Manzanar mi ronzava in testa da molti anni, ossia dal 2005 anno in cui ho sostenuto una tesi di laurea proprio su questo tema. Siccome ogni singola informazione ed emozione collegata a quel periodo della mia vita fatto di studi, di scoperte e di raccolta di testimonianze era ancora scolpita nella mia memoria, e dal momento che questo argomento continuava ad essere sconosciuto ai più, ho deciso di rendere fruibile questa storia ad un pubblico ampio, e per farlo ho scelto un mix di generi che oltre a rendere dinamica la lettura, accompagna il lettore attraverso un viaggio che poi altro non è che il viaggio della protagonista Tea alla scoperta di una parte buia del nostro passato.

Tra le altre cose, partendo proprio dalla mia tesi di laurea, ho ritrovato un’appendice che non ricordavo di aver scritto all’interno della quale avevo appuntato emozioni, descrizioni e sensazioni per “non dimenticarle”.. quindi in un certo senso il destino di “Non ti perdere” era già stato scritto 15 anni fa.. è la dimostrazione palese che per i progetti importanti serve tempo..

  1. Tia ha due tatuaggi, la geisha e il demone, ci spieghi come mai hai voluto dare spazio a questi due tatuaggi importanti?

L’ispirazione arriva da un mio carissimo amico appassionato di cultura Giapponese che, da un giorno all’altro, ha deciso di farsi tatuare un demone e una geisha lungo tutto il braccio sinistro. Un lavoro pazzesco che io, pur essendo appassionata di tatuaggi, non avrei mai il coraggio di replicare in un punto così visibile del mio corpo. Ero al corrente del ruolo che avevano le geishe nella società nipponica, ma non avevo mai approfondito la storia dei demoni. Così quando gli chiesi di raccontarmi quale tradizione si celasse dietro a quelle figure demoniache, ho subito pensato che potessero rappresentare in modo perfetto una personalità come quella di Tia..

  1. Come ti sei preparata per affrontare al meglio la tematica sempre di Manzanar?
    Quando nel 2005 ho scoperto l’esistenza dei relocation centers americani e, in particolare, di Manzanar ho sfruttato quelle poche informazioni che avevo trovato navigando in Internet. All’epoca Facebook e Instagram non esistevano e le uniche informazioni disponibili erano quelle presenti sul sito del museo. Ricordo di aver girato alcune famose biblioteche di Milano e di esserne uscita a mani vuote. Ho provato a fare l’unica cosa che potevo fare: mettermi in contatto con il museo via mail e sperare che qualcuno mi rispondesse. È partito tutto da lì..
  2. Come ti sei preparata per riuscire a descrivere nel dettaglio il collage degli USA?

Anche questa parte è autobiografica.. ho avuto la fortuna di visitarli un paio di volte e mi sono segnata tutto. Quando viaggio tengo sempre un diario di viaggio per catturare i miei pensieri.. è un’abitudine che ho fin da bambina. Osservo tutto con occhio curioso e quando qualcosa mi emoziona più di altre, la immortalo e poi scrivo le impressioni. Magari potrebbe non servirmi mai, oppure.. potrebbe finire tra le pagine di un romanzo..

  1. Parlaci un po’ dei dark spots.

I dark spots sono una scoperta abbastanza recente anche se di fatto ho sempre amato osservare il cielo e cercare le costellazioni perché mi danno sicurezza. È un gioco che faccio spesso, soprattutto d’estate. Alzo la testa e cerco i miei punti fermi nell’oscurità e loro non mi deludono mai, sono sempre lì.. il Grande Carro, Cassiopea.. indipendentemente da dove mi trovi. La scoperta dei dark spots (o quantomeno che i punti migliori della terra in cui osservare il cielo e la Via Lattea si chiamassero in questo modo) è stata casuale. Alloggiavo in un motel nei pressi di un canyon dove le luci della città erano lontanissime e la sera il cielo era limpido e lo spettacolo offerto dalla volta celeste era incredibile. Parlandone poi con il gestore del motel, ho scoperto che la zona in cui mi trovavo era uno dei punti più bui della terra e ho pensato che fosse una cosa molto poetica da sfruttare..

  1. Hai aggiunto anche una leggenda giapponese sulla via lattea, ne eri già a conoscenza oppure durante le tue ricerche ti sei imbattuta in essa?

In questa mi ci sono imbattuta per caso.. curiosando qua e là.. detto che la cultura giapponese è così ricca di leggende che credo ci sia davvero l’imbarazzo della scelta.

  1. Come è avvenuta la creazione del personaggio: Wallace?

Mi serviva un personaggio un po’ sopra le righe e nella mia mente avevo la figura di un dandy. Ho curiosato un po’ in rete finché non mi sono imbattuta nella copertina di una rivista che celebrava il ritorno di questa figura e il mio Wallace era lì, seduto su una poltrona imperiale in velluto rosso..

  1. Spiegaci un po’ come è nato il titolo del libro, è stata una splendida sorpresa ritrovarlo in un punto preciso della storia.

Il titolo originario del romanzo doveva essere un altro. Strada facendo però è cambiato qualcosa, sia dal punto della vista della storia sia relativamente al messaggio che ho voluto trasmettere . Volevo che “Non ti perdere” fosse recepito come un messaggio forte. Capita spesso di perdersi nella vita, di commettere errori, di inciampare, di sbandare o di imboccare una strada senza uscita. Quando ti ritrovi in certe situazioni, ti assale un forte senso di smarrimento e può succedere di perdersi. Non c’è una regola, non c’è un tempo per “ritrovarsi” e non è sufficiente guardarsi allo specchio. Ognuno deve fare il proprio percorso, deve affrontare un viaggio personale per riportare in superficie la parte più vera di sé stesso, l’unica sulla quale si può davvero contare, la risorsa più importante.

  1. Ci sono diverse leggende Giapponesi, ci parli anche della leggenda della farfalla?

La leggenda della farfalla è molto delicata. È emblematica della forza dell’amore che può andare oltre questa dimensione puramente terrena. Mi piace l’idea che se due anime per qualche motivo non hanno potuto essere felici in questa vita terrena, riescano ad esserlo quando entrambe avranno terminato il proprio viaggio..

  1. Questo libro presenta diverse etnie, diversi mondi e il razzismo è un lontano ricordo, credo sia un meraviglioso messaggio. Quanto è stato fondamentale e perché la scelta di “mischiare” varie provenienze e tradizioni?

L’obiettivo del mio romanzo è, da un lato, dimostrare come mondi diversi in realtà non siano poi così distanti tra loro e dall’altro accendere un faro su una forma di razzismo che spesso nella storia è passata un po’ in sordina, vale a dire la ghettizzazione. Avendo svolto alcuni corsi universitari attinenti all’argomento ed essendomi documentata parecchio non solo sullo sterminio degli ebrei ma anche su altre forme di razzismo, alcune delle quali appunto molto sottili, ho cercato di capire per quale motivo le notizie non fossero giunte fino a noi, se non in modo frammentario. Le risposte sono diverse e alcune, come nel caso di Manzanar, inaspettate. Perché quando la Seconda Guerra Mondiale terminò, e le porte dei 10 relocation centers sparsi per gli States furono riaperte, furono gli stessi giapponesi a scegliere di smantellare le baracche così come le avevano costruite anni prima. Sembra un paradosso, ma in realtà quest’onta che avevano subito, questa “macchia” sociale era un capitolo da dimenticare e non da ricordare. Adesso vedo che le cose stanno cambiando soprattutto in America..

  1. In una parte del libro si accenna ad un attimo di violenza sulle donne.
    Per te, da donna, che messaggio hai voluto trasmettere?

La violenza contro le donne è qualcosa che potrebbe colpire in modo inaspettato ognuna di noi e senza dubbio fa paura. La cosa che reputo davvero preoccupante, è vedere come alcuni pregiudizi culturali siano ancora così radicati nella nostra società e nel nostro sistema giuridico. C’è ancora chi  “tollera” lo spintone o lo schiaffo durante una discussione un po’ accesa e poi si indigna quando vengono emesse  condanne in favore di branchi e non a tutela della vittima che “se l’è cercata”. Ogni tanto ripeto a Shakespeare che già secoli fa aveva scritto un sonetto su questo tema.. Shakespeare, non un autore dei giorni nostri..
Purtroppo, ho come la sensazione che nonostante le campagne di sensibilizzazione, nonostante i nuovi decreti, la violenza sia sempre un po’ più avanti rispetto a noi e rispetto al sistema. È  questa la vera tragedia. Possibile che non si riesca ad avere una  certezza di pena nel nostro Paese?

INTERVISTA DEL BLOG ONLYBOOKSLOVER.IT

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