Recensione “L’onore del samurai” di David Kirk

 

 

 

 

 

 

La straordinaria storia del più grande samurai di tutti i tempi. Un grande romanzo che narra la straordinaria storia del ragazzo nato guerriero e diventato leggenda.

Giappone XVII secolo. Nel remoto villaggio di Miyamoto, nella provincia di Harima, vive Bannosuke, figlio del grande Munisai Shinmen, uno dei più valorosi guerrieri dell’impero. Ha 13 anni, sua madre è morta in un misterioso incendio, mentre suo padre ha abbandonato il villaggio dopo la tragedia, otto anni prima, e non ha fatto più ritorno. Di lui si prende cura lo zio Dorimbo, un monaco che spera che il ragazzo rifiuti la violenza e scelga invece la via della spiritualità e della contemplazione. Nel frattempo, però, Bannosuke si allena nelle arti della guerra sotto la guida di Tasumi, un anziano samurai.
Quando un giorno, all’improvviso, il padre ferito fa ritorno a casa, il ragazzo decide che è arrivato il momento di reclamare la sua eredità: diventerà un samurai.
Ma prima della gloria viene la battaglia, e Bannosuke dovrà guardare la morte negli occhi per poter essere chiamato Musashi Miyamoto, il più grande guerriero di tutti i tempi.

Un’appassionante storia di dedizione, onore e tenacia. L’epica storia del ragazzo che divenne il più grande samurai di tutti i tempi.

Libro primo

Questo primo atto della storia, seppur avvincente e coinvolgente, è in realtà per il lettore un tuffo introspettivo nelle difficoltà causate da una società che vuole decidere, impostare e regolare ciò che il singolo è o dovrebbe essere.

Il nostro protagonista è, infatti, avvinto nelle spire delle tradizioni e delle credenze della società del suo secolo. Porta in sé la zavorra del pregiudizio e dell’ignoranza di chi lo circonda (i contadini di una semplice area rurale) oltre all’onta dei peccati dei genitori che poco ha conosciuto. Quando però Bannosuke sembra ormai aver preso il suo cammino predestinato, ecco che il destino decide di mischiargli le carte in tavola.

Questa storia sembra un po’ la storia della nostra vita: i genitori ci ricoprono dei loro sogni e delle loro aspettative, la società ci ritaglia addosso una vita, chi ci circonda vede in noi ciò che vuole vedere senza preoccuparsi della realtà.
Bannosuke ci insegna che, seppur la guida del padre ci fortifica e prepara al mondo, solo vivere la realtà ci può insegnare le lezioni più dure e difficili, e che solo la perseveranza ci aiuta a “sopravvivere” cercando la nostra identità e la nostra strada nel mondo.
Munisai ci insegna, invece, che i torti bruciano ma, allontanarci rifiutandoci di affrontare il dolore, non lo dissipa; lo si rende una voragine dentro di noi difficile da scalare, un vuoto intorno, che ci allontana da ciò e da chi è importante e, quando ce ne accorgiamo, ormai è tardi.

L’autore, con precisione nei dettagli storico culturali, ci accompagna in questo primo capitolo che è la base e la motivazione che sorreggerà la storia del celebre Musashi e di come diventerà tale, mostrandoci come, nei secoli, non cambiano i fattori che creano una leggenda: anche l’essere più deriso, denigrato o insignificante può fare la differenza, se si ricorda di non ingannare mai se stesso. Se si perde la via c’è sempre la possibilità di riprendere la strada maestra, anche se per farlo bisogna fare un giro tortuoso e lungo.

Dovremmo fare nostro l’insegnamento che in questo libro Bannosuke impara sulla sua pelle: ragionare con la propria testa, non lasciarsi sopraffare da antiche parole e codici solo per avere il medesimo NULLA che ha trovato chi ti ha preceduto.

L’esortazione dell’autore a non confonderci nella mischia è forte in questa righe: la massa è rassicurante, certo, ma uccide il nostro io interiore a favore di chi sa trarne il massimo vantaggio.

 

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