Review Party “Mathilda” di Mary Shelley

 

 

 

 

Dopo una serie di tragici lutti, tra cui quello del marito, Mary Shelley scrive il racconto Mathilda, condito da alcuni elementi autobiografici, sfoggiando tutte le sue doti di romantica drammaticità. Mathilda, sedicenne ricca di nascita ma orfana di madre, abbandonata da un padre che le dà la colpa per la scomparsa dell’amata sposa, è costretta a crescere con una zia avara di sentimenti. Quando il padre decide di tornare da lei, succede qualcosa di inaspettato: la somiglianza della fanciulla con la madre è sorprendente al punto che l’uomo la crede una reincarnazione dell’adorata Diana, così da innamorarsi della figlia. Un racconto che è ossessione e passione, sfogo e dolore, lo stesso provato da Mary Shelley in vita. La sua penna sapiente rende immaginario quel che è stata per lei realtà.

Famosa per il grande classico Frankenstein, Mary Shelley ha scritto anche opere minori come questa che, per certi versi risulta autobiografica.

La protagonista Mathilda porta il peso di essere nata mentre sua madre moriva, privando il padre del grande amore della sua vita. Questi, sconfitto dal dolore, lascia la bambina a una parente che la cresce nella brughiera desolata e solitaria, alimentando lo spirito malinconico di una creatura mai amata. I primi capitoli sono quindi densi di atmosfere gotiche, di angoscia e solitudine, dove la speranza non trova posto.

Quando Mathilda diviene una ragazza il padre, presumibilmente guarito, torna nella sua vita, donando alla giovane una parentesi di felicità nella sua triste vita.

Ma la somiglianza con la madre, fa piombare un uomo disperato nel più atroce dei baratri, alimentandone la pazzia e l’ossessione per la figlia, fino a toccare l’incesto.

Pochi mesi di gioia e speranza per la protagonista, poche pagine per il lettore per mettere la testa fuori dal dolore e si ripiomba tutti nell’oscurità più totale, nel nuovo abbandono, nella nuova solitudine che però, stavolta, non trova pace nella natura che la circonda e che ha riempito le pagine all’inizio con splendide pennellate di vita campestre, simili a dolci e soavi poesie.

Un romanzo molto cupo e denso di angoscia e solitudine fino all’incontro con il poeta Woodville, che ricorda molto il marito dell’autrice, il famoso poeta Shelley.

Ottima la scrittura, interessante la trama, perfette le ambientazioni gotiche e ancestrali e, per chi ama le sensazioni cupe e malinconiche al limite della depressione, favolosi i moti dell’anima.

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