Recensione “Un respiro di troppo” di Massimo Polimeni

 

 

 

 

Può un uomo di colore, ricercato per omicidio, fuggire da New York, sbarcare clandestinamente in Sicilia, mischiarsi a un gruppo di migranti e tentare poi di costruirsi una nuova, inaspettata esistenza? Joe intreccia la sua storia con quella di un giovane che spera in un cuore nuovo, di un tenace colonnello della Finanza che non vuole arrendersi al suo male, di un ex-poliziotto arabo in attesa di riscuotere il frutto di un furto milionario e di altri singolari personaggi. Uomini soli che cercano improbabili vie di fuga da un destino già scritto. Non basteranno il travaglio interiore e le drammatiche esperienze che si trascinano addosso: essi si troveranno, infatti, coinvolti in un’indagine sul tragico traffico clandestino di organi umani. Non c’è nulla di razionale nell’oscura realtà nella quale si muovono, ma ciascuno di loro non cessa di battersi per il proprio riscatto. Joe potrebbe salvare se stesso, la sua libertà e forse anche la vita del suo giovane amico. Dovrà però accettare un rischiosissimo baratto.


Non avevo letto nessun romanzo di questo autore, ma solo suoi articoli e interviste.

Non sapendo cosa aspettarmi mi sono affidata alle mie sensazioni, nate dalla lettura della trama e dal titolo “dall’animo leggero”.

Sono siciliana come l’autore, e in questo romanzo si respira e si vive la Sicilia appieno.

Siamo isolani e da qui il nostro animo solitario, il senso di solitudine che ci pervade, ma allo stesso tempo la passione che ci caratterizza per natura.

Riusciamo a portare le emozioni al massimo, gelosia, amore, odio… li viviamo intensamente.

Un libro dove per la prima volta vedo descritta la vera Sicilia, nel suo animo di bella e dannata.

Non si parla di Mafia, non si parla di faide, o perlomeno non solo quello, si parla di amicizia, di ricerca di verità, di “sbirri” che si prestano al gioco del reato per scoprire la verità.

Si parla di verità celate, di chiudere un occhio di fronte a un ricercato dell’Interpool, di sotterfugi, di storie antiche, di detti siciliani che amplificano il tutto “assuppa viddanu”, “Chista è a zita, cu’ a voli s’a marita”, “cu li fimmini mancu u diavulu ci potti”.

Ci ritroviamo a viaggiare coast to coast per la Sicilia, Catania e Palermo per la prima volta alleate, attraverseremo anche l’Atlantico e ricominceremo in America.

La confusione all’inizio regna sovrana, mi sono ritrovata spaesata, storie così diverse tra di loro, indipendenti oserei dire, che nella mia mente non sapevo più dove Massimo volesse arrivare.

Eppure alla fine tutto torna, la ragnatela ben tessuta arriva al suo centro senza neanche una smagliatura. Tutti i pezzi entrano perfettamente in quel puzzle di eventi e storie.

Lui parla di questo romanzo come spin-off del precedente (domani correrò a leggere il prequel), eppure non dà per scontato la nostra conoscenza dei personaggi, li descrive come solo lui può fare, la sua tecnica da giornalista è infallibile, la dialettica impeccabile.

Ci troveremo ad essere testimoni di omicidi, Mafia “Surda”, traffico di organi, clandestinità, matrimoni misti, tradimenti, figli “bastardi”.

Arriveremo alla verità attraverso la via della menzogna, ma l’accoppiata colonnello della finanza-sbirro, oppure clandestino-emigrato, un cuore nuovo, un Gobbo e l’Americano intrecceranno i loro destini.

Un romanzo ricco di intrecci, personaggi complessi, colpi di scena film, nella mia bella Sicilia, terra madre di “Al Capone”, ma anche di clandestini che barattano la loro stessa vita per un cuore amico.

 

 

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