Recensione “Silfrida, la schiava di Roma” di Isabel Greenwood

 

 

 

 

 

Silfrida è una giovane donna Gota, venduta come schiava dagli usurpatori dell’imperatore Teodosio e poi adottata da una coppia di romani che abita nei pressi di Verona, sulla via Postumia. È timida e timorosa, la evitano tutti a causa della sua origine barbara, ma il Fato è in agguato e la sua vita verrà sconvolta per sempre. Il padre che credeva perduto è il temibile Alarico, a capo dell’orda di barbari che invade il nord Italia. Partirà alla sua ricerca accompagnata da Ghiveric, un giovane e valoroso guerriero goto. Ma i legionari romani sono sulle loro tracce, la battaglia del Tanaro incombe. Riusciranno i due giovani a coronare il loro sogno d’amore e ritrovare Alarico

Questo romanzo è ambientato nel 400 d.c.  durante  l’Impero romano.

Mentre i guerrieri goti sono coinvolti in battaglia contro le milizie romane, le donne dell’accampamento goto vengono trucidate e i bambini rapiti per essere venduti come schiavi.

Il destino di Silfrida, la giovane figlia del condottiero Alarico, è più luminoso rispetto a quello degli altri, poiché la famiglia che l’ha accolta la considera al pari di una figlia.

Nonostante le fatiche per la conduzione della taverna di famiglia e l’accudimento della madre adottiva malata, Silfrida può ritenersi una donna libera.

La sua bellezza nordica viene temuta dai più, ma il fratello adottivo Tullio e il tribuno Lucio rimangono incantati dalla sua dolcezza.

Un giorno però i Goti arrivano al suo villaggio e Alarico, ancora incredulo, riesce a riabbracciare dopo tanti anni la figlia che temeva perduta.

Alarico le affianca un valoroso guerriero, Ghiveric, che si rivelerà anche il suo promesso sposo, e da allora partiranno per una lunga corsa nel cuore del paese cercando di ricongiungersi con la loro gente che li ha anticipati nel viaggio, mentre i romani incombono su di loro.

 

E’ il secondo romanzo che leggo di questa bravissima autrice ( Giovanna Barbieri), anche se in questo ha usato uno pseudonimo, e rimango sempre meravigliata dalla sua capacità di trascinarmi nel racconto rendendomelo “vivo” anche dal punto di vista sensoriale.

I personaggi femminili che escono dalla sua penna sono sempre donne che trovano il coraggio per superare gli eventi avversi e le sue storie d’amore non sono mai sdolcinate ma grintose.

La predilezione di scegliere periodi storici pregni di battaglie garantisce movimento alla storia, rendendola adatta, oserei azzardare, anche ad un pubblico maschile.

Lo studio accurato che si nasconde dietro le righe del romanzo lo rende ancora più prezioso, perché l’autrice non si limita ad inventare, ma si attiene alla storia per dare ai suoi racconti ancora più credibilità.

Il romanzo è ricco di termini latini che, se da un lato hanno conferito ancora più veridicità al racconto, dall’altro, per chi è profano come me, hanno reso a volte difficoltoso comprenderne il significato. Al termine del romanzo ho trovato però un glossario,  anche se avrei preferito delle note a piè di pagina per poter chiarire subito i miei dubbi.

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