Recensione “Prima che il buio” di Nico Priano

 

 

 

“Prima che il buio” di Nico Priano è il racconto di una generazione cresciuta troppo in fretta tra fame e guerra, un’umanità fragile, dunque, ma tutt’altro che arrendevole. Michele e Giulia sono due adolescenti. Lui figlio di contadini, lei unica figlia di una famiglia benestante, di origini ebraiche. Le loro vite si incontrano e si legano in un’unione tenace, irrinunciabile. Ci penserà la guerra a dividere i due ragazzi, tra angosce e speranze, tra la paura di non farcela e la voglia di vivere. Attraverso la loro vicenda, il romanzo racconta il decennio compreso tra il 1935 e il 1945, legando gli eventi della provincia piemontese, dell’Ovadese in particolare, con quelli nazionali e internazionali. Dal crollo della Diga di Molare, all’entrata in guerra dell’Italia, dalla disfatta sul fonte della Cirenaica, agli episodi della guerra resistenziale combattuta sui monti dell’Appennino ligure-piemontese. Tra le pagine del libro affiorano figure celebri e altre poco conosciute, ma altrettanto decisive e determinanti. Il libro si conclude con un’appendice che riporta il lettore ai giorni nostri e riavvolge il filo della narrazione. Michele ormai vecchio, racconta la sua storia ai nipoti. È una sera di giugno proprio come quella che dà il via alla vicenda, sessantacinque anni prima. Una casa di campagna, un prato, il volo di una lucciola. È il suo chiarore intermittente ma ostinato a rappresentare la memoria, ciò che resta al cospetto del buio dove l’aneddotica svanisce e i ricordi si spengono. Resta una storia che chiede di essere raccontata. Ancora una volta.

Mi sono innamorata subito di questo romanzo, dei suoi gesti semplici, dei sentimenti genuini; di uomini che tanto mi hanno ricordato mio nonno, di quelli che si impomatavano i capelli, che invitavano le ragazze a ballare e le conquistavano con la galanteria. Di quelli che si facevano km in bici o a piedi solo per un bacio, e che dentro il cuore e la testa avevano sani principi.
Come Michele che vive la sua vita da bracciante agricolo, che si innamora di Giulia ad una festa, ma la guerra è vicina e lui deve partire . Una storia come tante, e proprio per questo sentita vicina, familiare. Avrei potuto sovrapporre il nome di molti dei nostri nonni a quello di Michele, e scoprire che poi non avrebbe fatto molta differenza. La lontananza, la guerra e i suoi orrori, la fame e la fatica di chi restava a casa sotto i bombardamenti con lattanti terrorizzati.
In questo romanzo troviamo vari punti di vista, quello di Michele e le sue vicende fra guerra e prigionia, un uomo mai eccessivo, sempre dal profilo basso che lo terrà in vita. Forte e adattabile, non ha pretese, accetta quello che la vita gli propone, cercando di sopravvivere e non cadere nella trappola della disperazione o del risentimento.

La seconda prospettiva ce la offre la famiglia di Michele, il loro riuscire a scampare alle incursioni dei fascisti, lo spirito di sopravvivenza che li mantiene uniti nelle privazioni, la loro generosità nel prendersi cura di persone estranee alla loro famiglia.
E l’ultimo pov è quello dei partigiani, la loro lotta all’invasore, la perdita di compagni, gli stenti, ma quella forza dettata dalla ribellione e dalla vendetta che hanno contribuito in modo notevole alla liberazione del Paese.
Difficilmente mi commuovo leggendo un romanzo, ma questa è la nostra storia,  una drammatica parte del nostro passato che è lo stesso denominatore per tutte le nostre famiglie e per questo va letta, ricordata, condivisa,
e l’autore è riuscito a farmi versare parecchie lacrime.

firma Anna

ELEONORA

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