Recensione “Nessun porto nella nebbia” di Maria Campanaro

 

 

 

 

 

 

Francia, 1671. L’impetuosa marchesa Isabel de Martigny s’imbarca per la Spagna, per sfuggire ai propositi del duca di Belfort, Primo Consigliere di Luigi XIV, di trasformarla nella nuova favorita del re. Durante una tempesta la sua nave viene assalita dalla Lucky Chance, un vascello pirata sotto il comando del carismatico e irrequieto Julian Koslow. Scoperto il valore che la ragazza ha per il sovrano, questi decide di barattare la sua liberazione con la consegna del duca di Rocheville, l’uomo che crede il suo vero padre e verso il quale nutre un’oscura ansia di vendetta.
In attesa del giorno dello scambio il rapporto tra Isabel e Julian cresce, li porta ad avvicinarsi e allontanarsi come nella sincronia di una danza, come nei passi di un duello, a trovare una sorprendente intesa che mette in luce tutto ciò che li accomuna, a partire dalla sete di libertà e di conoscenza e si trasforma in una passione profonda e definitiva. Lo scambio con il duca di Rocheville alla fine fallisce: Julian si rende conto che non è la persona che sta cercando. Sarà Isabel a permettergli di scoprire l’agognata verità sulle sue origini, ma numerose avversità li separano da questa rivelazione, sulle rotte seguite dalla ciurma della Lucky Chance, tra battaglie navali, agguati, arrembaggi, razzie, e tra le insidie della fastosa corte di Versailles: con la forza del trascinante amore che li unisce, Isabel e Julian dovranno in seguito affrontarne le schiaccianti ripercussioni sulle loro vite.

La nebbia è uno di quegli elementi che da sempre, nella percezione umana, è considerato ad un livello diverso dal suo essere semplice elemento della natura. Appanna le percezioni, ovatta i suoni, toglie confini sicuri e nasconde i pericoli.

Da sempre l’uomo ha ritrovato in essa una reale, visibile e tangibile rappresentazione delle sensazioni di smarrimento, impotenza e vuoto di fronte agli eventi che spesso, nei secoli hanno mosso interi popoli alla ricerca della salvezza ed hanno fiaccato i singoli.

Così troviamo nel titolo che l’elemento evocato, la nebbia, duella a fil di spada con un altro elemento, cioè il porto, rappresentazione di un altro sentimento umano: la speranza, come voglia di non arrendersi, di aggrapparsi ad una motivazione per rialzare la testa e ricominciare a fare a testate con il destino.

Dunque già il titolo offre uno spunto, un appiglio di lettura intrinseco di promesse: sarà una storia avvincente all’insegna di pericoli e avventure?

Infatti di avventura in avventura (o sventura a seconda di come la si vuole interpretare), i protagonisti si trovano continuamente faccia a faccia con le bizze di un destino che pare accanirsi per precipitarli in questa “nebbia” densa, umida e strisciante che riesce, a tratti, a nascondere loro un “porto” cui aggrapparsi. Ma come nella migliore delle storie che ci abbia appassionato, nel momento più alto della disperazione esplode l’istinto della sopravvivenza che, come una scialuppa di salvataggio, risolleva lo spirito irrequieto ed impotente chiamandolo alla riscossa, rendendo guerriero anche il più mite degli uomini.

Di sicuro Julian Koslow, pirata capace e convinto, non è il più mite degli uomini che si possa incontrare. Terribile, spietato, è temuto dalla marina francese per le sue scorribande. Cocciuto, spavaldo, irrisorio ci mostra come ferocia e amore possano guidare con eguale efficacia la mano e la vita di un uomo; un uomo che scopre di aver per anni rincorso verità e vendetta per radici che ha ripudiato e che ora non può ignorare e da cui non si può nascondere.

Ma Julian è anche un animo inquieto che trova la sua dimensione più umana e vulnerabile in Isabel De Martigny, la più improbabile delle compagne che potesse immaginare.

La vita con Isabel lo renderà un uomo capace di scoprire in sé una forza inesauribile, fatta di speranza e costanza quando la disperazione profonda lo getterà nello sconforto.

Isabel de Martigny, invece, è il personaggio meno credibile della storia. Poco affine alla realtà storica in cui si muove, è troppo moderna, in modo quasi stucchevole.

Tenace, testarda in modo quasi patetico, non mostra alcun interesse per ciò che non le è utile a perseguire i suoi scopi, arrivando al punto di “usare” gli amici più fidati senza pensare alle conseguenze che li potrebbero investire. Innamorata ma anche coraggiosa, pare più un’eroina dei nostri tempi, mai doma di fronte agli sgambetti del destino. Disperatamente aggrappata a se stessa, non scende a patti con la vita nei momenti di difficoltà. Ma Isabel è anche in grado di mostrarci l’intimità e l’affinità che solo un grande amore e un profondo sentimento generano tra due persone; quella capacità di comunicare che pochi provano.

Il cattivo di turno, il duca di Belfort, bieco calcolatore, altri non è che un ottimo gestore di intrighi di corte, ma perde miseramente le sue abilità e la sua credibilità quando persegue i suoi “interessi familiari” che lo trasformano semplicemente in un essere stucchevolmente perfido. L’astuto e fidato braccio destro del Re di Francia, Luigi IV, inciampa maldestramente in un improvviso, e quanto mai provvidenziale per dare nuova linfa alla storia, istinto paterno cadendo poi malamente in un improbabile “rigurgito” di bontà.

La psicologia dei personaggi è comunque resa bene al lettore, ma il meglio lo danno la descrizione degli ambienti in cui si muovono i personaggi che lo conducono  attraverso la Francia e sui mari con buona veridicità.

La storia, invece, si arrotola su se stessa in balìa dei suoi stessi colpi di scena; si appesantisce in una rincorsa quasi isterica dei passaggi per sorreggere gli “sbalzi” temporali e la verosimilità degli accadimenti.

La trama, già abusata in più storie edite in edicola (Harmony), zoppica un po’ nel tentativo di rinnovarsi e darsi un tocco di originalità. Più volte il lettore alzerà la testa a fine capitolo ritenendo la storia conclusa, per poi voltare pagina e trovare un nuovo prolungamento, quasi fossero più libri rieditati in un unico volume.

Il finale dell’avventura è scontato e talmente veloce, rispetto al muoversi del resto del racconto, da sembrare una decisione presa frettolosamente per chiudere una storia che ormai non ha più nulla da offrire.

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