Recensione “L’isola dei fiori rossi” di Alan Brennert

 

 

 

1890. La piccola Rachel Kalama vive a Honolulu e fa parte di una grande famiglia hawaiana. Desidera vedere le terre lontane che suo padre, un marinaio mercantile, spesso visita. Ma all’età di sette anni i sogni di Rachel si infrangono: la comparsa di alcune macchie rosate sulla sua pelle indica che ha contratto la lebbra. Portata via da casa e dalla sua famiglia, viene mandata in quarantena sull’isola di Moloka‘i, dove si trova il lebbrosario e dove la sua vita sarebbe destinata a finire. E invece, sebbene costellata di ostacoli e prove difficili da superare, la comunità che si è creata è ricca di personaggi straordinari: c’è tanta vita anche tra i più disperati ed è un miracolo scoprire che la speranza e l’amore fioriscono nei luoghi più desolati. Un romanzo meraviglioso ispirato alla vera storia dell’isola di Moloka‘i, alle Hawaii, dove per cento anni è stato deportato chiunque avesse manifestato i primi segni della lebbra. Ricco di personaggi pronti a saltare fuori dalla pagina, L’isola dei fiori rossi è la meravigliosa e straziante avventura di tutti coloro che hanno deciso di abbracciare la vita pur essendo stati condannati. Un racconto che, con il calore, l’umorismo e la compassione che porta con sé, ha già incantato e commosso oltre mezzo milione di lettori.

I libri ci portano lontano, nel tempo e nello spazio, a volte sono letture di evasione, altre ti lasciano qualcosa dentro: sicuramente L’isola dei fiori rossi ha impresso un sentimento molto forte nel mio cuore.

Le Hawaii sono sinonimo di bellezza esotica e di viaggi di piacere, ma in questo romanzo entreremo in un periodo storico funesto (fine ‘800 metà ‘900) segnato dall’epidemia di lebbra, dove la magia dei luoghi si scontra con la crudeltà di una malattia che non guarda in faccia nessuno, nemmeno una bimba di 7 anni.

Rachel è una vivace bambina hawaiana, vive con la sua adorata famiglia , pensa solo ai giochi della sua età e ai bisticci coi suoi fratelli. Il suo papà viaggia per mare e ad ogni ritorno una nuova bambola va ad arricchire la collezione della bambina.

Passeggiando nei pressi del porto sente un lamento corale provenire dai pressi di una imbarcazione : auwe, auwwayy! (ahimé in lingua hawaiana), sono i ma’i pake, i lebbrosi che vengono strappati dalle loro famiglie per essere deportati a Moloka’i, dove i più finiranno lì i loro giorni.

Rachel non può immaginare che da lì a breve anche per lei ci sarà un auwe, anche lei verrà strappata dalle braccia dei suoi genitori a soli 7 anni…

Cosa può provare una bambina così piccola lontana dal suo mondo, dai suoi affetti, scaraventata dapprima in un centro di osservazione e poi in esilio definitivo a Kalaupapa presso un istituto gestito da suore in mezzo ad altre bambine deturpate in modo orribile?

Ma Rachel è forte, lei trova la forza per andare avanti, nonostante le gravi perdite fra le sue amicizie. Trova a Kalaupapa una nuova vita, una nuova ohana: la famiglia che ha perduto viene sostituita dallo zio Pono e dalla sua compagna anche loro ospiti del lebbrosario. Trova amicizie fra le coetanee e fra le suore, sperimenta i primi batticuori in un luogo surreale, dove la bruttura della malattia si mescola al paradiso della natura.

Accompagneremo Rachel nella sua lunga vita, confortandola, godendo dei suoi attimi felici, piangendo con lei. Ci meraviglieremo insieme a lei dei progressi della tecnologia e della medicina, supereremo le guerre e le difficoltà insieme alla gente di Kalaupapa.

L’autore ha voluto creare questa storia sulla base di eventi realmente accaduti, ispirandosi a personaggi esistiti, ha fatto un ottimo lavoro di ricerca e ci ha fatto immergere totalmente nella narrazione . Ci ha fatto amare i personaggi, conoscere gli usi di un popolo così meraviglioso, imparare qualcosa di più su questa brutta malattia.

Rachel è stata per me una figlia, una sorella e una madre, le fasi della sua vita le ho vissute come se fossi accanto a lei, e ora che l’ultima pagina è stata letta posso solo dire “aloha wawle, e Rachel, kaua, auwe!” Amore infinito tra noi, Rachel. Ahimè!

Piccola nota: il testo presenta parecchi refusi dovuti alla traduzione ed è un peccato che un libro così meraviglioso possa non venire riconosciuto dietro ad un titolo e ad una cover banale.

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