Recensione “Le due donne di Aushwitz” di Lily Grahm

 

 

 

È il 1942 quando Eva Adami viene deportata ad Auschwitz. Schiacciata tra i corpi pigiati sul treno ed esausta per le privazioni, non riesce a pensare ad altro che a ritrovare suo marito, da cui è stata separata a forza. Ma ad Auschwitz non c’è traccia di lui. E la cruda realtà del campo di concentramento si abbatte su di lei, minacciando di spezzarla definitivamente. Una notte, mentre piange di nascosto, sente un sussurro provenire dalla branda vicina. Un’altra prigioniera, Sofie, le prende la mano… La loro è un’amicizia indistruttibile, che resiste agli orrori vissuti ogni giorno. Eva e Sofie si confidano le paure più segrete e i sogni più intimi: quello di Eva è di scoprire dove si trova il marito, quello di Sofie è di ricongiungersi con suo figlio, Tomas, che la aspetta in un orfanotrofio oltre il confine austriaco. Quando Eva scopre di essere incinta, si rende conto che la sua vita e quella del bambino che porta in grembo sono in pericolo. E così le due donne si scambiano una promessa: qualunque cosa succeda, proteggeranno i loro figli a ogni costo.

Straordinario.

“Eppure, venni alla luce. Piccola, denutrita, ma determinata a vivere. Anche ad Auschwitz nascevano bambini. E io fui una di loro… Doveva raccontare un’ultima storia. La loro. E cominciava all’inferno.”

Un prologo che a leggerlo viene la pelle d’oca, una storia che inizia all’inferno, dove vivere è un lusso e sopravvivere e l’unica speranza.

Due amiche, una promessa, ritornare a vivere, uscire da quell’inferno.

Siamo ad Auschwitz, dove sul cancello d’ingresso campeggiava la prima vera menzogna “ARBEIT MACHT FREI”, Il lavoro rende liberi.

Eva e Sofie, due amiche, insieme per sopravvivere, tra stenti e lavori forzati la speranza è l’ultima a morire e quando Eva scopre la sua gravidanza Sofie farà di tutto per aiutare l’amica a portarla a termine, in ricordo del suo più grande sbaglio.

Questo è uno di quei libri che riesci a leggere solo con le lacrime agli occhi, con brividi che corrono lungo il corpo e pensieri affollati dai mille misfatti del tempo.

Non si ha ragione, non si ha certezza, ma solo speranza per un nuovo giorno, forse quello della liberazione.

Tanti personaggi entrano in gioco, tra guardie e Kapò, prigionieri, amicizie che salvano la vita e rimandano la morte al giorno successivo, tra ricordi e affetti di un passato che sembra lontano anni-luce.

Michal, Sofie, Eva, Helga, Kamila, Nadejè personaggi che donano molto alla storia, che arricchiscono il racconto e le memorie di una sopravvissuta.

Mi inchino a questo libro, dove la speranza porta la bandiera, dove tra le lacrime anche un piccolo vagito crea quell’ombra di un sorriso.

ELEONORA

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