Recensione “La promessa di Auschwitz” di Heather Dune Macadam e Rena Kornreich Gelissen

 

 

 

Nel marzo del 1942 Rena Kornreich, sua sorella e altre 997 giovani donne vengono radunate e costrette con la forza a salire sul primo convoglio di sole ebree diretto ad Auschwitz. Nessuna di loro può immaginare l’orrore che le aspetta. È solo grazie alla strenua volontà di proteggere sua sorella Danka, come ha promesso alla madre prima che la loro famiglia fosse divisa, che Rena trova la forza di non arrendersi. La attendono tre anni e quarantuno giorni di sofferenza e privazioni, ma alla brutalità spietata delle SS Rena sceglie di opporsi condividendo il poco cibo ottenuto tramite il contrabbando, e usando la gentilezza come arma contro la disumanità dei carcerieri. Questo libro è una preziosa testimonianza sulla vita delle donne nel campo di concentramento di Auschwitz e offre un punto di vista inedito su una delle pagine più buie della storia. Attraverso il racconto di straordinari gesti di umanità e degli indissolubili legami nati nell’inferno del lager, viene trasmesso un eccezionale messaggio di speranza, da tramandare alle generazioni future.

 

La forza di non arrendersi solo per proteggere la sorella Danka, così Rena sopravvive al campo di concentramento più cruento di tutta la storia. Una delle donne del primo carico arrivato a Birkenau con il numero 1716.

Le prime donne vittime della deportazione erano 998 e Rena era tra queste, sopravvissuta per miracolo e solo grazie alla promessa fatta alla sorella nei primi giorni al campo.

“E’ il mio sogno, Danka, è di riportarti a casa, un giorno. Varcheremo la soglia della nostra fattoria, e mamma e papà saranno là ad aspettarci.”

1716 è stato il suo nome per tre anni e quarantuno giorno.

Un libro che ti distrugge ad ogni pagina, che ti annienta ad ogni racconto.

“Il vuoto che abbiamo nello stomaco non cessa mai, esattamente come il freddo che attanaglia le nostre membra. Ogni mattina al risveglio, almeno una ragazza della nostra baracca è morta. Senza eccezioni. Moriamo come mosche… abbiamo visto così tanti cadaveri che ormai siamo vaccinate alla morte.”

Selezioni su selezioni, appelli alle 4 del mattino “Raus, Raus”, un pollice che decreta la vita o la morte, e la paura che fa compagnia ad ogni respiro, che fa da cuscino ad ogni notte, che ti logora dentro e non riesci a provare altro.

“Spengo ogni emozione dentro di me fino a non vedere più niente, a non sentire più niente.”

Un giuramento che governa ogni sua azione, la forza di andare avanti e vedere la fine insieme, uscire da quei confini di dolore.

E poi c’è la marcia della morte, 677 chilometri per Ravensbruck in soli due giorni, quasi metà delle prigioniere morì lungo il cammino, di fame, di sfinimento per la lunga marcia e di freddo.

Sopravvivere per quella promessa, chiedersi dov’è quel Dio che tanto hanno pregato, arrendersi di fronte al male, subire per vivere, sopravvivere a un nuovo giorno per non morire.

Un libro che come altri del genere ti lascia inerme, immobile a subire e a capire il perché, lente le lacrime che scendono sulle guance, inconsapevoli e incapaci di capire tanta crudeltà.

 

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