Recensione “Il corpo che indosso” di Donatella Ceglia

 

 

 

Elia, undici anni, non ha un posto nel mondo e non si sente a proprio agio nel suo corpo. Criticato dai genitori per non essere il perfetto figlio maschio che si aspettavano e affascinato dai vestiti di sua sorella, diventa facile vittima dei bulli.

Solo Gio, un compagno di scuola selvaggio e ribelle, trova il coraggio di difenderlo e lo invita a casa sua: un appartamento pieno di stoffe e ricordi, in cui l’aria è pervasa dal profumo di lavanda degli abiti di Libera, l’amorevole nonna del ragazzo. L’appartamento diventa ben presto un rifugio per Elia, in cui trova l’affetto e la comprensione che altrove gli vengono negati.

Passano gli anni, il rapporto tra Elia e Gio si evolve. I due ragazzi diventano uno l’estensione dell’altro, si alimentano del loro legame simbiotico, si indossano a vicenda come i vestiti che Elia tanto ama e con cui esprime se stesso.

Quello che li unisce tuttavia non basta. Il mondo preme sulle pareti dell’appartamento e reclama attenzione, mescolando ciò che si trova dentro con ciò che c’è fuori, tanto che i due giovani prendono strade diverse e la separazione sembra inevitabile. Elia tiene così traccia del tempo, chiedendosi se sarà possibile sopravvivere a quel tipo d’amore.

 

Quando ero bambina gli adulti avevano l’abitudine di etichettare alcune di noi come effemminati o maschiacci. Di anni ne sono passati e la società si è un po’ evoluta, accettando e coniando altri termini per definire le infinite possibilità in cui una persona possa sentirsi, non bianco o nero, nemmeno grigio, ma un arcobaleno di sfumature che possono fondersi. Elia è una di queste bellissime sfumature, non è una ragazza, ma nemmeno un ragazzo, ma preferisce essere identificato come “lui”.

“ il mio corpo era una trappola e sapevo con certezza che lì dentro-nascosto fra quelle ossa, soffocato dalla mia pelle- non sarei sopravvissuto. Non ero io, quello, ci ero solo capitato dentro.”

Lo scherno dei compagni di scuola, l’astio della madre per questa anima che non rispetta i canoni da lei attesi, lo portano a sentirsi “a casa” con un amico, Gio, e sua nonna Libera.
Libera è la nonna che tutti dovrebbero avere: aperta, comprensiva, saggia; le sue parole ti accolgono, il suo rito del tè compie la magia di far abbassare le difese e di aprirsi.

“Lei ti prendeva e ti voleva bene così com’eri”
Gio è il cavaliere, un po’ problematico,  che difende la fragilità di Elia: lo accetta, lo trova bellissimo, lo ama. Asseconda il suo desiderio di provare abiti, tessuti e colori che gli erano stati preclusi, perchè “i colori non si possono neanche toccare”, ed Elia se ne era reso conto nel modo più crudele.
Viene a formarsi un nuovo nucleo familiare nel quale Elia si sente al posto giusto, e nel loro appartamento che profuma di lavanda, la porta è sempre aperta per tutti: amici e parenti. Anche le prime diffidenze di Eleonora, la gemella di Elia, si sgretolano accogliendo la nuova versione di quel fratello tanto amato, fino al punto di opporsi alla famiglia di origine.
È una storia delicata, raccontata in prima persona, dove Elia mostra tutte le sue incertezze, le sue fragilità, le sue esigenze che si scontrano con la mentalità di Gio che non vuole mettere etichette al loro rapporto, che non pone limiti.
Elia nel corso degli anni si trasformerà da bruco in farfalla, esteriormente ma anche mentalmente, acquisendo  quella forza che gli consentirà di sentirsi bene nella sua pelle in un mondo ancora troppo omofobo.
La narrazione è fluida e porta la storia avanti e indietro nel tempo  anche se , spesso, ci si trova smarriti non capendo bene in quale contesto ci si trovi. Forse sarebbe stato più opportuno intitolare i capitoli con delle date per aiutare il lettore ad orientarsi.
Per il resto ho amato ogni singola parola, pensiero, emozione, incertezza.

L’autrice ha indossato i guanti per scrivere questa storia e la ringrazio per il garbo e la dolcezza con cui l’ha fatto.
Per gli argomenti trattati il romanzo è consigliabile ad un pubblico adulto.

 

firma Anna

ELEONORA

 

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