Recensione “Il codicista” di Aldo Di Virgilio

 

 

 

Sospeso fra satira, surrealismo e fantastico, Il codicista accompagna il lettore in un’allegorica discesa all’inferno nelle viscere del kafkiano “Palazzaccio”. Willy Deville inizia la sua carriera al Ministero del Benessere, punto di partenza della scalata al potere e insieme della sua perdizione, verso la più abietta condizione morale. Una galleria di personaggi grotteschi e claustrofobiche sale del potere dipinta a violente pennellate in uno stile personalissimo, ricco di echi dei grandi autori del Novecento, che raccoglie a piene mani dal cupo immaginario medievale per raccontare una storia attualissima.

urlandomi in faccia che alla competenza preferisce l’obbedienza.

E da questo estratto che si inizia a comprendere il valore del libro di Aldo De Virgilio. Di cosa tratterà mai?

Per aiutarvi a svelare l’arcano mistero, vi do un indizio. Avete presente il film di animazione di Asterix? Nelle dodici fatiche di Asterix la prova peggiore che i due prodi galli devono affrontare è provare a uscire sani dalal casa dei pazzi. Che altro non è se non un ufficio in cui si svolge una delle stregonerie moderne: la burocrazia.

E qua il brivido inizia a serpeggiare per la spina dorsale, arrivando al cervello e attivando in noi ricordi. Che preferiremmo dimenticare. Amata, sovrana burocrazia dittatore dei nostri giorni, laddove i valori tradizionali sono sovvertiti in favore di una diversa concezione del mondo dove regna l’atavica modalità dell’obbedienza. E solo da queste mia amare parole che si cela la sostanza del libro, cosi sospeso tra grottesco, satira e denuncia, che sembra appartenere sempre di più al regno onirico degli incubi. Un incubo però reale, troppo reale che non può non suscitare in noi uno strano senso di ribellione. Come non farlo davanti al destino, ingrato e al tempo stesso bramato, circonfuso dall’aura di potere del posto fisso ma che chiede a noi il sommo sacrifico della nostra autonomia, del libero arbitrio rendendoci sempre più gregge e sempre meno persona.  Del resto di sa, essere pecora è anche confortante, non si decide, non si sceglie si segue il buon pastore, sperando che esso sia magnanimo e non abituato la bastone. E cosi seguendo la guida non si è tentati dalla deviazione creativa e non si perde la retta via del buonsenso.

Davvero direte voi, la pubblica amministrazione è simile alla vita della pecora?

La mia risposta è un tonante si. Cosi rinchiusa nella gabbia dorata di regole codificate, tomi polverosi irti di complicate formule standardizzate, cosi ricca di complicati rituali di comportamento che regolano ogni e sottolinea ogni cosa

conta molto di più il Protocollo… Il Protocollo viene prima di tutto, prima della Costituzione e prima delle sentenze. Ti ricordi gli Spartani, gli Antichi Romani, la disciplina e l’obbedienza al superiore? Il Protocollo funziona così», risponde con la voce alterata.

 

E cosi in questo dantesco girone di perduti si incontrano figure, spesso più di forma che sostanza, esseri che a volte lavorano e altre vegetano, strani soggetti che il protagonista Willy Deville osserva con stupore meravigliato a tratti con disgusto. Li nell’antro chiamato palazzaccio ( il palazzo di giustizia di Roma) si incontra la nostra Dea che non è giusta di fatto ma frutto di abili manovre politiche, di abili affabulatori, e di variegati interessi politici. Tutto a coronare quel regno strano e a tratti straordinario dove ogni buonsenso, ogni etica viene sospesa come la nostra incredulità di scaltri lettori, di fronte a fatti reali eppure assurdi.

Ecco che Willy diviene il moderno dante nel suo percorso di comprensione non solo di se stesso ma dell’ambiente che lo ospita, come un organismo estraneo che tende a rifiutare, attraverso stanze/gironi ognuno con i suoi demoni guardiani. Con la sua sadica promessa di ricchezza, successo effimero compiacimento.

Non troverete quell’atmosfera, quasi sacrale, che ci si dovrebbe aspettare da chi gestisce una delle primarie funzioni di uno Stato.

Troverete servilismo, corsa sfrenata al potere, degradazione estrema del proprio essere intimo, per accordarsi con le leggi granitiche dello status.

Ministero, ragazzi miei, quando si tratta di soldi ben volentieri trama, inganna, raggira e usa pure la forza con intensità inimmaginabili; il Ministero, il Ministero, questo nome nefasto, il Ministero e le guardie che mi guardano strano quando gli passo vicino, il Ministero, il Ministero ripetuto incessantemente come i grani del rosario così lo esorcizzo, il Ministero, Ministero uguale vendetta, Ministero uguale punizione, Ministero uguale sottomissione, Ministero uguale paura, mani fredde, orecchie calde, sudore sotto il naso

E cosi questo libro diviene un quadro che immortala un’immagine agghiacciante ma di un realismo estremo, descritta per accentuare il contrasto con quello stile chiamato surrealismo magico (alla Kafka) preziosissimo per sottolineare l’alterità di chi scrive nei confronti delle vicende raccontate.

L’Imperatore ha sempre ragione, capito? Guai a voi, scellerati, che ne contestate la volontà! Intellettuali, tromboni, popolino, tutti uguali, criticatori con la puzzetta sotto il naso abituati alla polemica fine a sé stessa! Voi ubbidirete e basta! Tacete, ignoranti! Che ne sapete voi dei sacerdoti nel tempio?

Un libro splendido per la notevole capacità stilistica dell’autore, ma triste perché apre un vaso di Pandora che tutti noi vorremmo restasse chiuso.

 

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