Recensione di “8” di Dustin Lance Black

 

 

 

 

Bianco, uomo, eterosessuale: semplici etichette, che però, spesso, garantiscono diritti preclusi ad altri. La storia della nostra società è – ed è sempre stata – costellata di lotte per il riconoscimento e l’affermazione di quei diritti. Lotte necessarie per ricordare al mondo che, a dispetto delle differenze e delle etichette, dinanzi alla legge meritiamo tutti di essere uguali. Il 4 novembre 2008, in seguito a un referendum conosciuto col nome di Proposition 8, lo Stato della California abolì il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso, introdotto dalla Corte Suprema degli Stati Uniti a maggio di quello stesso anno. Con lo stesso provvedimento tutti i matrimoni fino ad allora contratti furono dichiarati nulli. Nel 2009, gruppi di attivisti e singoli cittadini si unirono alla lotta di due coppie gay e dei loro avvocati nel chiamare in giudizio lo Stato della California presso la Corte Federale nel tentativo di far dichiarare l’iniziativa incostituzionale. 8 è il racconto di quel processo, narrato direttamente dalle voci dei suoi protagonisti. È la celebrazione di un momento cruciale nella storia dei diritti civili ma, soprattutto, è un monito per tutti coloro che continuano a lottare per vedere riconosciuti quei diritti.

 

Ho pensato molto a come scrivere questa recensione, tanto da prendermi qualche giorno di riflessione, cosa mai avvenuta in quasi due anni di attività di blogger. Questo non perché non avessi argomenti o perché il libro sia privo di contenuti. Diciamo che da raccontare, da mostrare al lettore c’è tanto, troppo e quindi bisogna operare una scelta.

Non me ne voglia, dunque, la Casa editrice e l’autore ma mi focalizzerò su alcuni dettagli che non solo mi hanno colpito (anche perché chissenefrega di cosa mi colpisce o no) ma che sono importanti e pietre d’angolo di tutta la struttura del testo.

Non vi tedierò con i dettagli tecnici, vi ritengo in grado di destreggiarvi abilmente tra generi e stili. Se cosi non fosse, alla prossima definizione di lettrice compulsiva, avrò sicuramente una crisi di nervi. Che almeno la patologia psicologica, per nulla simpatica, abbia un senso.

Il testo 8 di Dustin Lance racconta il processo vero, per nulla inventato (anche se a volte ho sperato che lo fosse) che aveva per oggetto di dibattito una decisione direi inquietante presa dallo stato della California riguardo i matrimoni tra soggetti dello stesso sesso. Il 4 Novembre del 2008 si tenne, infatti, il referendum denominato appunto “Proposition 8”, che chiedeva l’inserimento di un emendamento nella costituzione dello stato affinché fosse considerato valido solo il matrimonio fra uomo e donna. In seguito all’approvazione della Proposition 8 numerosi gruppi a sostegno del matrimonio egalitario, ritenendo l’emendamento incostituzionale, hanno portato il caso alla Corte Federale californiana, che al termine di un processo ne ha riconosciuto l’effettiva incostituzionalità.

 

Per questo l’intero documento non è altro che il resoconto spietato e oggettivo della dialettica operata tra i due diversi avvocati ripresi in modo mirabile dallo sceneggiatore Dustin Lance Black. E pubblicato con coraggio dalla Triskell editore.

 

Perché la scelta di portare a conoscenza atti di un processo?

Il motivo è molto diretto ed è spiegato nell’introduzione:

 

dimostrare in modo evidente come certe prese di posizione da parte dei sostenitori del matrimonio eterosessuale come unica unione legittima risultino insostenibili, se non apertamente ridicole, in un’aula di tribunale. Che certi pregiudizi, di fronte al giuramento di dire tutta la verità nient’altro che la verità, appaiano davvero difficili da sostenere.

 

Le testimonianze, le spiegazioni scientifiche sul matrimonio messe su carta in bianco e nero, hanno una strana conseguenza. Mentre vengono declamate, grazie a le tecniche della comunicazione non verbale, alle diverse modulazioni della voce, (quella cadenza altisonante che caratterizza di solito le invettive pubbliche) hanno una sorta di aura di intoccabilità. Il flusso comunicativo è pieno di trabocchetti, tanto da minare il grado di attenzione dell’utente. Bastano poche frasi ad hoc tipo diritto naturale, oppure delegittimazione, pericolo gender, per evocare nell’interiorità profonda e ombrosa (Jung insegna) una sorta di atavica paura che genera il pregiudizio e lo stereotipo.

Badate bene.

Non è il pregiudizio la causa ma la conseguenza e quell’idea preconcetta diviene barriera culturale tra noi e l’altro, ma anche tra noi e la logica.

Scritte, le parole divengono diverse, perdono la loro forza di incantesimo e si trasformano in qualcosa di vero, puro e reale. La mente, leggendo, si sofferma e inizia a pensare. Magari il lettore passa oltre ma alla fine, capita quasi sempre, torna indietro.

E si domanda.

E si ri-domanda.

Ed è nel riscoprire questa ars perduta ( la domanda appunto) che si stuzzica la curiosità, attivando zone del cervello credute atrofizzate.

Ecco che sentire asserire “Esiste solo un tipo di famiglia” provoca una reazione, mentre leggere codesta frase fa assumere alla stessa una dimensione diversa, meno autoritaria.

Durante il processo si attua qualcosa di ancora diverso. La domanda e non l’acquisizione pigra di conoscenze, porta a un successivo sfaldamento delle costruzioni mentali, poiché la domanda diviene una chiave e apre canali proibite. La domanda è ribellione, ma è anche riflessione, tanto che nei racconti graaliani senza question non si aprono le porte del castello del Graal.

Leggete questo passo straordinario:

Quando si presentano in aula e sono costretti a sostenere e difendere le loro opinioni sotto giuramento e a sottoporsi al controinterrogatorio, quelle opinioni si dissolvono. Semplicemente, non ci sono prove. Non ci sono studi empirici. Solo invenzioni. Scienza spazzatura. È facile propinare certe cose in TV, ma il banco dei testimoni è un luogo solitario in cui mentire e, quando ti presenti in tribunale, non puoi farlo. Ed è questo che abbiamo fatto. Abbiamo messo sotto processo la paura e il pregiudizio.

 

 

Ecco la chiave.

La paura

E sapete di che paura si tratta?

Del cambiamento.

Certe convinzioni sono per noi una coperta di Linus. Ci proteggono da un esterno che, tutt’oggi consideriamo ostile e brumoso. Nonostante i progressi scientifici, nonostante la tecnologica dentro restiamo uomini primitivi in balia di una notte senza luce, piena di sussurri paurosi e di strani pigolii. Restiamo inermi di fronte a un nemico immaginario, che lede o tenta di ledere la nostra sopravvivenza. Immersi un un ambiente difficile da comprendere dobbiamo per forza di cose, usare la nostra migliore facoltà ossia la percezione e l’identificazione. Siamo noi a catalogare e costruire, tramite appunto la percezione, una sorta di ambiente fittizio su cui possiamo agire e sono proprio le nostre costruzioni mentali. E questo significa, udite, udite, che non esiste una realtà, ma una delle tante realtà, in particolare quella più rassicurante per noi.

La concezione della morale, della società, la tradizione, la cultura, sono tutte le rassicurazioni che usiamo per acquietare quel demone chiamato ignoto. Divengono cosi importanti da definire, persino, chi siamo in rapporto all’ambiente che oggi ci ospita. Possiamo essere conquistatori, uomini in grado di dominare la natura e di nominarla, ossia di sottometterla ( nominare qualcosa, infatti, ha lo scopo di legarla a se e quindi di divenirne il demiurgo). Tutto ciò che nominiamo esiste, prende vita e diviene parte della nostra personale proiezione mentale. La realtà è perché noi decidiamo che divenga.

Questo, ovviamente, vale con i valori, con le idee che sono il mezzo con cui riusciamo a rapportarci e interagire con l’esterno. Anche quando quest’esterno è l’altro. Capite bene come la conservazione delle conoscenze acquisite e delle categorie che, durante la lunga esperienza umana, abbiamo deciso che fossero fondamentali per la nostra sopravvivenza, divengono intoccabili.

E sono quasi una religione, nel suo senso etimologico puro di legame con il microcosmo (società) e macrocosmo (universo). E sono ancor più importanti quelli che fondano quel ventre materno, quel nucleo protettivo che è la società.

Guai a cercare di sfaldare questo lido felice.

E la società si basa anche sui rapporti, quelli considerati leciti, tra i membri di questa sorta di compagnia di mutuo soccorso, mentre l’altro è il nemico, il deviante da cui dobbiamo proteggerci, stringendoci sempre di più uno all’altro. E il deviante è il diverso, il ribelle, quello che mette in pericolo lo status quo.

Ma sono abbastanza convinto che esista una concreta possibilità che il matrimonio tradizionale risulti indebolito dal processo di deistituzionalizzazione. Se il modo in cui definiamo una cosa cambia, è difficile pensare che questo non abbia alcun impatto sulla cosa stessa. Quindi, anche se non credo che qui nessuno possa dire con assoluta certezza cosa accadrà, credo in tutta onestà che questo sarà il più probabile… un probabile risultato della legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso

 

 

 

E ancora

 

Credo che dovremmo cominciare con due asserzioni. La prima è che ridefinire l’istituzione finirà col modificarla.

 

Capite il terrore?

E’ nella possibilità eventuale di una modifica di un’asserzione che rappresenta una stabilità e una certezza.

Nominare e quindi, legalizzare un qualcosa, ha il potere di renderla reale, e di conseguenza porta a una ridefinizione del concetto su cui si basa una società.

E la cambia.

E questo ci terrorizza.

Ci spaventa la possibilità di ammettere una possibilità di cambiamento belle nostre personali definizioni morali o etiche, facendoci giungere alla consapevolezza che, la vita, l’uomo, è diverso dalla creatura che noi vogliamo conoscere. Non possiamo mica sostare sul pericoloso ciglio dell’evoluzione.

L’essere umano è lacerato da un continuo dialogo, a volte estremo, tra due diverse pulsioni: da una parte quello che ho definito come tendenza all’autoconservazione e dunque all’equilibrio, l’altro è la spinta al cambiamento e alla modifica.

Questa tensione tra queste posizioni inconciliabili causa il movimento. Un passo indietro e uno avanti verso chissà quale risultato. Ma è importante sapere e conoscere una verità: il movimento è caratteristico della vita.

La vita si modifica, cambia, cresce e si evolve.

Apprende.

Non è mai statica e ferma.

Si ferma solo quando le cellule di un organismo smettono di ricrearsi.

La stessa comunicazione si basa sul concetto di informazione che è, semplicemente, l’acquisizione della coscienza dell’esistenza di una modifica da inserire nel proprio bagaglio genetico affinché sia utile alla generazione successiva.

La volontà della vita è trasformarsi.

E ogni apparato prodotto dall’uomo subisce questo processo: stati, idee, concetti, morali e valori.

Noi siamo diversi a seconda dell’ambiente, del periodo storico, degli impulsi, dei bisogni e della volontà di alcuni soggetti di apportare nuove forze in concetti che, rischiano di diventare statici e quindi di morire.

E il matrimonio è uno di essi.

E’ un istituzione considerata cosi importante da essere inserita nella costituzione di uno stato.

Costituzione capite?

Ossia le sue fondamenta.

Se è cosi importante, cosi pregno di significati, come posso io vietarlo in nome di un idea che sta mostrando tutte le sue lacune?

Come può l’ampliamento di un concetto cosi difficile da definire precludere l’altrui libertà?

Ci sono paladini del no al matrimonio gay che sostengono due cose. Uno la sua impossibilità riferita a un fantomatico stato di natura. Due matrimonio è uguale a procreazione.

Dello stato di natura mi soffermo per poche righe. Secondo loro visto ,che dio ci ha creati uomo e donna, lo stato naturale garantirebbe solo questo modo di concepire amore e sessualità. Due considerazioni brevi. Uno la bibbia parla di esseri ermafroditi. E non solo la bibbia, ma ogni tradizione sacra. Esseri monisti divisi per chissà quale beffa del destino. La bibbia cita testualmente”Dio li fece a sua immagine e somiglianza UOMO E DONNA LI CREO’.

Quindi la divinità tanto venerata dai detrattori, è fondamentalmente ermafrodita. Non me ne vogliate eh, è scritto nel vostro testo sacro. E non invocate l’aramaico perché, fidatevi è peggio.

Seconda considerazione. Era stato di natura anche l’appropriazione indebita, la violenza e lo stupro. Se venerate tanto questa condizione primaria, beh, dovete venerarla fino in fondo. Io mi tengo l’evoluzione civile.

Voi fate quello che vi pare.

Matrimonio uguale a procreazione. A parte che riduciamo una delle istituzioni più romantiche a una sorta di allevamento delle vacche. Ma lascio al parola al giudice Walker

Il mio punto è che ci sono parecchie coppie eterosessuali che non “procreano naturalmente”, che richiedono l’intervento di una terza parte o qualche tipo di assistenza medica. Perché gli stessi valori di cui ha appena parlato non dovrebbero applicarsi alle coppie lesbiche e gay? Creare un’unione, supportarsi a vicenda, donarsi reciprocamente amore, conforto, sostegno. Perché tutte le considerazioni da lei fatte, legittime per i ricorrenti, non dovrebbero anche per due John e Jane Doe qualunque?

 

Solo una realtà è valide.

Paura.

Avete cosi paura dell’altro, che non si conformi alle vostre aspettative che trovate scuse assurde.

Vi svelo un segreto: nessun essere senziente avrà mai voglia di adattarsi alle vostre ipocondrie. Alle ossessioni. Ai terrori inconsci.

L’amore non vi creerà mai danno, non delegittimerà mai il matrimonio. Né metterà a repentaglio i vostri figli.

Lo stereotipo si. La mala educazione si, la venerazione di Mammona  si. Insegnare la non compassione si. La mancanza di empatia si. La stronzaggine anche.

Quindi lasciate che ognuno ami chi voglia e imparate a valutare gli altri non dalle loro scelte sessuali, ma da come si comportano di fronte a voi, agli altri e al mondo intero. Sono le azioni a decidere chi siamo.

Io vi consiglio questo libro. E voglio vedere se, oltre alla cazzate piene di concetti al limite della decenza (uno che randella la sua partner o la umilia, o l’idealizzazione del mafioso o del serial killer, quelli si che sono pericoli!) vi resta un posto per un libro che vi possa aiutare a riflettere. E magari spingervi a cambiare, senza tutte queste fisime assurde, felici di evolvervi. Invece di stagnarvi sulle vostre sicurezze buttando al vento ogni vostro talento.

 

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