Recensione “Delitto sull’isola bianca – Le indagini del Foresto” di Chiara Forlani

 

Anno 1950, un’isola in mezzo al Po, un misterioso delitto da risolvere, che tutti gli abitanti del luogo avevano motivo di commettere, un giovane ombroso che vive con un proiettile conficcato nel cranio e viene coinvolto in una vicenda dai contorni tenebrosi.
Diverse famiglie vivono sull’isola Bianca, un luogo sperduto dove l’esistenza segue i ritmi e le cadenze dell’Ottocento.
Vita di campagna, amori, saggezza popolare e segreti inconfessabili: tutto concorre alla soluzione del mistero, in un crescendo di tensione che si stende come un sudario sulla bellezza selvaggia della terra situata tra la città di Ferrara e il grande, maestoso fiume Po.

 

Scrivere un giallo non è un’impresa facile, di certo. Non lo è, a maggior ragione, nel caso in cui si debba ricostruire un’ambientazione spaziotemporale assolutamente particolare come quella scelta dalla Forlani per le indagini del Foresto (soprannome del protagonista del libro).

Siamo su un’isola in cui il tempo scorre in modo diverso e la vita è profondamente diversa da quella che si conduce nella vicina (e, allo stesso tempo, quanto mai lontana) Ferrara.

Siamo nel Dopoguerra e gli strascichi del conflitto, così come dell’ideologia fascista, la fanno da padrone in un romanzo che segue le indagini relative alla misteriosa morte di un personaggio inviso alla maggior parte degli abitanti dell’isola, un usuraio, con un passato assai discutibile alle spalle e un patrimonio che fa gola a molti.

La prima impressione che ho avuto di questo libro è che si trattasse di un’opera frutto di uno stile maturo. La Forlani è una scrittrice tecnicamente molto brava, capace di gestire una terza persona con repentini cambi di punti di vista, senza mai disorientare o confondere il lettore.

Se, da un lato, si può dire che la Forlani abbia una penna sicuramente brillante, non riesco a dire lo stesso della sua gestione del ritmo nel romanzo. Credo, infatti, che questo romanzo abbia essenzialmente due difetti.

Il primo è proprio il ritmo. La parte centrale dell’opera, infatti, mi è risultata, in alcuni momenti, lenta e con pochi ganci offerti al lettore per mantenere alta l’attenzione.

Altro aspetto che non mi ha entusiasmato è il finale. Si ha quasi l’impressione che del momento conclusivo dell’indagine il lettore venga messo al corrente in maniera indiretta, a cose fatte, per così dire, senza dare il giusto spazio al momento più importante di tutta la vicenda.

Nonostante questi due profili meno convincenti, però, si può ribadire quanto il giallo in questione appaia agli occhi di chi legge un prodotto maturo, ben costruito, con personaggi studiati meticolosamente. Non dubito, peraltro, che, nel caso di nuovi libri dedicati alle investigazioni del Foresto, le storie possano essere ancora più dinamiche e avvincenti, una volta creata una maggiore connessione empatica fra il lettore e il protagonista della storia.

In conclusione, mi sento di consigliare la lettura di questo romanzo a chi desidera leggere storie ambientate nel Dopoguerra e vivere un’esplorazione nella cultura e nella mentalità dell’Italia più arretrata nei tempi immediatamente successivi al regime fascista.

 

Giovanni

         firma Claudia

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