Recensione “Il mio Egitto” di Daniela Gatto

Gorizia, 1968. Sara, ormai anziana, siede accanto alla finestra e ripensa al suo passato, ai momenti che hanno definito la sua vita.

Moraro, 1909. Sara ha undici anni quando si reca a Gorizia con la madre e la nonna. Durante una visita, sente pronunciare con disprezzo una parola sconosciuta: Aleksandrinka. Nonostante la curiosità, nessuno le spiega il significato di quel termine.

Negli anni seguenti, Sara cresce in un mondo scosso da grandi cambiamenti. Durante una festa di paese, balla con Giuseppe, un giovane che diventa presto il suo grande amore. Quando scoppia la Prima guerra mondiale, i due si sposano. Sara è incinta, ma non riesce a rivelare la notizia a Giuseppe che muore in battaglia. Distrutta, giura che farà di tutto per proteggere il figlio che porta in grembo.

È allora che la parola Aleksandrinkatorna nella sua vita, questa volta come una possibilità. Scopre che si riferisce alle donne che emigrano in Egitto per lavorare come governanti, balie o domestiche, guadagnando abbastanza denaro per dare una vita dignitosa alle loro famiglie. Tornata a Gorizia, chiede aiuto a una delle Aleksandrinke viste anni prima. La donna le offre un lavoro come balia da latte, ma a un prezzo altissimo: Sara dovrà lasciare il suo neonato alle cure di altri per accudire il figlio di una famiglia francese al Cairo. Con il cuore spezzato ma determinata a garantire un futuro migliore al suo bambino, accetta. Pochi giorni dopo il parto, si imbarca a Trieste con destinazione Egitto, iniziando un viaggio che cambierà per sempre il suo destino.

 

“Emilia si era lasciata affascinare da quel mondo dorato che immaginava in Egitto. Nessuno però le aveva spiegato che le fatiche dell’animo sono spesso più dure di quelle fisiche.”

Questo libro ci racconta una storia eccezionale di donne che hanno avuto la forza di lasciare tutto e trasferirsi ad Alessandria di Egitto per trovare un lavoro.

Sara è solo una bambina quando vede per la prima volta Emilia, l’Aleksandrinka come viene chiamata in paese. Quello che non può immaginare è che, molti anni dopo, andrà a cercare quella donna, per seguire le sue orme. Al Cairo, Sara dovrà fare la balia a una bambina di una famiglia francese. Lì conoscerà il Sig. Pierre Dumont. Riuscirà Sara a resistere a quell’amore impossibile?

“I suoi occhi, come sempre, avevano quel colore che la rapiva, rendendola vulnerabile, come intrappolata nella resina del suo sguardo.”

Sara è una ragazza forte, che ha saputo rimboccarsi le maniche e affrontare le difficoltà della vita.

Nascosta nella nursery, piangeva per i sacrifici che aveva scelto di compiere e che avrebbe rifatto mille volte, per la vita semplice che aveva sognato da bambina e che le era stata sottratta, per l’uomo che aveva amato e perso e per il modo odioso in cui si erano parlati l’ultima volta. Una macchia che Sara si sarebbe portata nella tomba”.

Una denuncia sociale, che ci presenta un’Italia afflitta da povertà e sconforto, dove molte donne dovevano farsi carico dei loro cari.

L’autrice tratteggia con molta delicatezza la sofferenza continua dovuta non solo alla solitudine e alla nostalgia di aver il proprio figlio lontano, ma anche alla fatica di lavorare subendo la disapprovazione e il disappunto per aver abbandonato la propria famiglia. Molto belle e descritte bene le diverse ambientazioni.

“Il mare riempiva l’aria del suo profumo salato, il vento muoveva le chiome dei pini marittimi.”

Un libro che riesce ad emozionare ad ogni pagina.

 

 

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