Sono vivo, lo so. Il bruciore ai polmoni è una sensazione che ormai conosco bene. Per qualche strana ragione anche questa volta l’ho scampata bella. Ma non sento le grida, gli strepiti di chi è accorso in mio aiuto e mi sta intorno. Socchiudo appena gli occhi e, nella luce fioca che segue il tramonto, vedo solo un volto sopra il mio. Sbatto più volte le palpebre perché quello che mi appare davanti non ha senso. Quegli occhi, quell’espressione preoccupata sono fuori luogo. Appartengono al mondo dei sogni, alle allucinazioni di un ragazzo che sta per annegare, non a un mondo reale fatto di sabbia bagnata sotto la schiena e aria fredda che ti congela. Ma sono lì. Che mi guardano in attesa. Sbatto ancora le palpebre, per scacciare gli ultimi residui di acqua salata e per mettere meglio a fuoco. Sì, sono loro. Sono proprio quegli occhi. E anche tutto ciò che gli sta intorno: la pelle chiara, il naso aggraziato, le labbra sottili che fremono di apprensione, i capelli biondo platino, che hanno perso tutti i riflessi del sole e mi gocciolano addosso. La bocca si schiude, come per dire qualcosa, ma rimane muta. Tuttavia basta l’espressione interrogativa per farmi capire che mi sta chiedendo come sto.
Non lo so. Non riesco a capire se sto bene o se sto male, se sono vivo o se sono morto e sto sognando.
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