Recensione “Small Town Boys” di Runny Magma

 

 

 

 

Niccolò sta vivendo l’estate fra la maturità e l’università. Ha una cotta per l’ex Professore di Filosofia, una zia single un po’ sfigata e le idee poco chiare sul suo futuro. Questa monotonia viene interrotta dalla scoperta di una tragedia avvenuta trent’anni addietro a un coetaneo dell’epoca, gettatosi sotto un treno per sfuggire al bullismo e all’omofobia. Niccolò si convince che non si sia trattato di suicidio ed è intenzionato a fare giustizia. Correrà il rischio di mettersi nei guai o quello di trovare la sua strada?

Favoloso.

Una semplice parola come semplice è il romanzo pur essendo, appunto, favoloso.

Una ventata di novità nonostante, forse, non dica nulla di nuovo, ma è lo stile, la forma, la sostanza che ne fanno una perla rara.

Chi si aspetta una storia d’amore può cambiare libro a meno che non sia disposto ad andare oltre, oltre l’amore, oltre l’amicizia, verso un ideale di umanità che spesso non riusciamo a cogliere.

L’autore con delicatezza e naturalezza ci introduce nel suo mondo, un luogo fatto di normalità, di silenzi a volte pesanti e sofferti che fendono l’aria e l’anima.

Niccolò è un ragazzo gay come tanti: normale, né bello né brutto, né simpatico né antipatico, comune.

Ha finito la maturità e non ha ancora le idee chiare su cosa voglia fare da grande.

La noia e l’apatia sono le migliori compagne dei suoi giorni insieme alla necessità di pensare. In un mondo in cui i giovani sono sempre di corsa, dinamici e pronti a far festa, questo un ragazzo se ne sta ore ed ore a pensare e, ancor più singolare, lo fa in un cimitero; niente di strano è un luogo tranquillo, dove le riflessioni sorgono spontanee e le idee si moltiplicano. Ed è quello che succede a Niccolò. Un incontro, una foto mancante in una lapide, un gesto e la sua immaginazione si sveglia, parte, galoppa verso un viaggio che può sembrare di investigazione su un caso di suicidio avvenuto trent’anni prima, ed invece diviene un viaggio interiore alla scoperta di se stesso.

Per me è stato anche un tuffo nel passato perché ho rivissuto, quasi riascoltato, vecchie canzoni dei miei anni ottanta e infatti il titolo mi aveva attirato anche per quello, ma non è solo la musica che si respira in queste pagine, sono anche la filosofia che imperversava all’epoca, le idee (ahimè la chiusura mentale), il bullismo e poi anche il silenzio.

Niccolò infatti indagando sul suicidio di Loris, giovane gay della sua stessa età, vissuto trent’anni prima, rivive sulla sua pelle la sofferenza, la mancanza di accettazione da parte della società e della famiglia, la violenza.

Eppure qualcosa di diverso i due giovani ce l’hanno: Loris era solo, non aveva chi lo ascoltasse e non ce l’ha fatta, Niccolò al contrario ha una zia fantastica con cui può dialogare apertamente e ha alcuni buoni amici. Questo fa la differenza, oltre ad una piccola apertura mentale della società avvenuta pian piano, ma quello che conta è che Niccolò ha qualcuno che lo ascolti e lo accetti. Una chicca dolcissima poi l’epilogo.

Bellissimo il duetto fra la toscana di qualche decennio fa e quella odierna, belle la parlata e l’ambientazione, perfetti i personaggi, stupenda l’introspezione, fantastica la scrittura e sublime il risultato finale.

Consigliatissimo!!

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