Recensione “ETERNO” di Maura Radice e Cristiana Meneghin

 

 

 

 

 

 

Gioia ha quattro anni, è dolce, taciturna e sicuramente troppo piccola per ritrovarsi immersa nei continui litigi che coinvolgono i suoi genitori. Una calda mattina d’estate però la sua vita cambia: sua madre Sun scopre che il marito, Alessandro, un potente uomo d’affari, la tradisce, decide di lasciare la piccola in custodia a Sara, la sua migliore amica e partire alla volta dei Mondiali di Calcio del 2014.

Sun è di origini asiatiche e si è trasferita a Milano inseguendo Alessandro, il suo unico amore e padre di sua figlia Gioia. Quando scopre il tradimento del marito decide di dedicarsi una pausa partendo per il Brasile. Questa sua scelta sarà l’inizio di un incubo che la porterà molto vicino a perdere due delle persone più importanti della sua vita e coinvolgerà Fabrizio un giovane e affascinante italiano che ancora non ha deciso cosa sarà del suo futuro.

Recensione molto difficile per me, perché alcune cose di questo libro mi sono piaciute molto, ma altre mi hanno lasciata interdetta.

Emozioni ce ne sono state, interesse anche, coinvolgimento a tratti, dubbi molti.

La storia ci narra di una coppia mista, Sun una ragazza asiatica e Alessandro un manager italiano ricco e spregiudicato a cui piacciono le donne. All’ennesimo tradimento Sun decide di prendere la loro bambina di quattro anni e lasciare il marito. Da in consegna la piccola a un’amica e cambia aria, va in Brasile a scrivere un articolo sui mondiali di calcio.

Alessandro non prende bene l’abbandono e fa rapire la bambina e da qui succedono una serie di eventi che porteranno a un tragico epilogo.

La trama è sicuramente originale e coinvolgente quello che invece mi ha lasciata perplessa è la scarsa analisi della psicologia di alcuni personaggi, che è vero che non sono i protagonisti, però le loro scelte e il loro essere determina gli eventi. Ci sta che chi è mostrato come cattivo sin dall’inizio compia gesti di coraggio e amore alla fine, però avrei gradito che mi venisse spiegato o meglio presentato un quadro più ampio del personaggio in questione che è il padre Alessandro.

Un’altra cosa che mi ha lasciato molti dubbi è la bambina. In alcune parti la bambina è la voce narrante, ci fa percepire la sua angoscia, i suoi stati d’animo, il dramma psicologico che sta dietro all’intera vicenda, ma c’è un ma, un grosso ma. La bambina, che ripeto ha soli quattro anni, parla come un’adulta, con termini a volte aulici, fa ragionamenti da provetta psicologa e poi in un paio di occasioni si allude al suo essere autistica quando, per mia esperienza avendo due amiche con figli affetti dallo spettro autistico, ci vuole una diagnosi. Non è che se non parla col padre, ma solo con la madre si possa definire autistica e quando inizia a parlare tutti si meravigliano. L’autismo non riguarda solo la parola, anzi è una piccolissima parte. Ecco, in questo ho trovato un po’ troppa superficialità, magari un esame più attento del problema potrebbe dissipare i miei dubbi su un romanzo che invece ho apprezzo nel suo insieme.

SENSUALITA’

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