Intervista Sale e Pepe: Francesca Noto (autrice)

intervista

 

A CHE ETA’ TI SEI APPASSIONATO ALLA LETTURA?

Appena ho imparato a leggere, a sei anni. Il primissimo libro che ho scelto per conto mio e letto tutto d’un fiato, nell’estate della prima elementare, si chiamava “Il viaggio di Pulcino Pip”… ancora me ne ricordo benissimo la copertina! [Ride] Be’, poi l’anno dopo sono passata a Richard Adams con “La collina dei conigli”. 386 pagine di pura meraviglia… Ci misi tutta l’estate a leggerlo, ma fu lì che capii senza ombra di dubbio quanto un libro poteva portarti lontano e farti vivere meravigliose avventure.

QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE?

Il primo “romanzo” (chiamiamolo così, e prendiamo l’espressione molto con le pinze!) intero che ho scritto l’ho tirato fuori a 11 anni. Si potrebbe definire un fantasy, ma somigliava molto, se dovessi fare un paragone peraltro azzardato, a “Ronja la figlia del brigante” di Astrid Lindgren. Chiaramente, era un disastro! Però la cosa buona è stata che da lì in poi, non mi sono fermata più.

COME E’ NATA LA DECISIONE DI INIZIARE A SCRIVERE?

Quando non riuscivo a dormire, da piccola, mia mamma mi suggeriva di pensare a una cosa bella e raccontarmi una storia. Così, ho cominciato a raccontarmi mentalmente delle storie che mi piacevano. E per ricordarle meglio, e perché mi rimanessero, ho iniziato a metterle per iscritto. Del resto, amavo scrivere Scrivevo dove capitava… vecchie agende, quaderni, blocchi per gli appunti… Poi a 14 anni mi sono appropriata della vecchia Olivetti di papà, consumandole tutto il nastro. Che tempi… I personal computer ancora non esistevano! Il primo l’ho avuto a 18 anni. E lì, ovviamente, è stata una grandissima svolta…

COME NASCONO LE STORIE DI CUI PARLI? A COSA TI ISPIRI?

Dal punto di vista dello stile, senza dubbio mi sono sempre ispirata agli autori che ammiro di più; tra questi lo Stephen King delle origini, così geniale nel tratteggiare il carattere e le emozioni dei suoi personaggi, ma anche William Gibson, con il suo stile nitido e scolpito e i suoi dialoghi geniali, e Banana Yoshimoto, per la sua semplicità quasi da manga, e la profondità dei sentimenti che riesce a raccontare. Per quanto riguarda le trame, quelle vengono fuori dalle mie esperienze e dalle mie passioni: per esempio l’equitazione, la mitologia nordica, e certi valori universali che non riesco proprio a tenere lontani dalla mia narrazione.

MOLTI AUTORI SOSTENGONO CHE MENTRE IL RACCONTO PRENDE FORMA SONO I PERSONAGGI STESSI CHE TI PARLANO E TI INDICANO LA STRADA DA SEGUIRE… SENTI ANCHE TU LE VOCI NELLA TESTA?

A dire il vero, no! Però continuo a immaginare le scene che devo scrivere, quando me ne sto lì lì per addormentarmi, proprio come facevo da bambina e da adolescente… E posso dire che quello è davvero il momento in cui i miei personaggi prendono vita. È come vederli sullo schermo di un cinema. Una particolarità: di solito non li immagino in carne e ossa, ma piuttosto come i protagonisti di un film d’animazione.

COME HAI CAPITO CHE IL TUO GENERE LETTERARIO ERA QUESTO?

Il fantasy classico l’ho scoperto verso gli 11-12 anni. Conan il barbaro era il mio punto di riferimento, in quegli anni, e l’heroic fantasy il mio Vangelo. Quindi, tutto quello che ho scritto prima del mio romanzo d’esordio, o quasi, è stato improntato su quel genere. Più avanti, mi sono trovata meglio con l’urban fantasy, invece. La possibilità di inserire elementi fantastici in una storia che prende vita dal mondo attuale mi ha sempre affascinato moltissimo. E in effetti, alla fine il mio romanzo di esordio può essere definito un urban fantasy, con forti sfumature romance.

QUANDO LEGGI UN LIBRO, NEL DARE IL TUO GIUDIZIO TI PONI COME SEMPLICE LETTORE O COME SCRITTORE?

L’epoca del “semplice lettore” per me è passata da tempo. Ma non perché mi senta una scrittrice, in fondo ho soltanto un romanzo pubblicato all’attivo: in realtà, ormai quando mi accosto a un libro ho l’occhio (traviato) dell’editor… e del traduttore! Rispetto a quando non lavoravo (sono traduttrice ed editor da ormai tanti anni), devo ammettere che la mia prospettiva è cambiata. E forse non sempre è un bene: mi sono resa conto che sono diventata più esigente…

COSA PENSI A RIGUARDO DELL’ANNOSO DILEMMA C.E. VS SELF?

Nell’editoria attuale, specialmente in Italia, penso che le opportunità siano da entrambe le parti. Ci sono autori che hanno fatto grandi cose con il self publishing, sfruttando bene i canali attraverso cui oggi ti puoi far conoscere e utilizzandoli in modo intelligente o magari originale. D’altro canto, anche con una C.E. alle spalle devi saperti mettere in gioco e lavorare e lottare in prima persona per farti conoscere, anche nel caso di quelle più affermate. Quindi… che dire… Io personalmente non avrei avuto il coraggio e il tempo di tentare l’impresa in self; ho avuto la fortuna di conoscere Francesca Costantino di Astro Edizioni, ed è stata lei a credere in me: io scrivevo soltanto per me stessa! Ma l’esperienza che finora ho fatto con “Il segno della tempesta” è stata stimolante e piacevolissima, quindi non posso che ringraziarla per avermi aperto le porte di un nuovo mondo!

COME VEDI IL TUO FUTURO DI SCRITTORE? RIMARRAI FEDELE AL TUO GENERE O HAI VOGLIA DI SPERIMENTARE CON QUALCOSA DI NUOVO?

In verità, sto lavorando a un sequel de “Il segno della tempesta”, e quindi sì, resterò decisamente fedele al mio genere. Forse però mi piacerebbe provare un giorno con la fantascienza, che è un altro dei miei grandi amori!

TRA I LIBRI CHE HAI SCRITTO, QUAL E’ QUELLO CHE HAI AMATO DI PIU’ E PERCHE’? CE NE PARLI?

Per me è facile rispondere: “Il segno della tempesta” è l’unico romanzo che ha visto realmente la luce, di tutti quelli che ho scritto! E in realtà, è l’unico che se lo merita. Ci sono molto affezionata perché ho cominciato a scriverlo quando ero ancora all’università, dopo un viaggio meraviglioso in Florida, e in qualche modo è “cresciuto” insieme a me. È la storia di una ragazza dall’empatia troppo spiccata che cerca il suo posto nel mondo e lascia tutto quello che ha per trovarlo, e di un ragazzo senza passato con strani poteri collegati al fulmine e alle tempeste. Il fatto che i due si incontrino, e proseguano il loro viaggio insieme verso la regione più selvaggia della Florida non è ovviamente un caso… Lea e Sven sono infatti gli elementi chiave di una profezia che potrebbe fermare l’inevitabile Ragnarök, la fine del mondo come lo conosciamo…

CHI SONO I TUOI AUTORI PREFERITI? QUALI QUELLI CHE TI HANNO ISPIRATO MAGGIORMENTE?

Ops, li ho già nominati prima, e sono anche quelli che mi hanno massimamente ispirato: William Gibson, Stephen King e Banana Yoshimoto. E se vogliamo aggiungerne un altro, soprattutto per gli insegnamenti di vita che mi ha donato, direi senza dubbio Richard Bach.

UN CONSIGLIO SPASSIONATO AD UN AUTORE EMERGENTE?

Mai arrendersi! J Un rifiuto (anche nell’accezione di recensione negativa, o di persone che non comprano il tuo libro a una fiera dopo che gliel’hai presentato) non è niente di personale, e non farsi avanti o non chiedere per paura del rifiuto è uno degli errori più grandi che possiamo commettere. Concluderei con la mitica formula “SWx4” (“Some will, some won’t, so what? Someone’s waiting!”, ovvero: “Alcuni ti diranno di sì, altri di no, ma che importa? Qualcuno, là fuori, ti sta aspettando!”), che si applica un po’ a tutto quello che vogliamo ottenere nella vita.

CI RACCONTI QUALCOSA DI CURIOSO SU TE STESSO?

Vediamo… Sono un inguaribile maschiaccio (mio marito mi chiama amorevolmente “Troll Berserker”), sono una malata di cavalli ed equitazione (tutt’ora mi ci dedico almeno una volta a settimana, e da ragazzina facevo concorsi di salto ostacoli), volevo fare l’archeologa (e ho una laurea e qualche foto in mezzo a improbabili scavi a dimostrarlo) e… ho due cincillà tenerissime e morbidissime, che si chiamano Bonnie e Pelosina e che buffamente somigliano per carattere alle mie due figlie, rispettivamente Mila e Giorgia.

 

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